sabato 21 novembre 2015

LA VOCAZIONE ALLA VITA CONTEMPLATIVA: ELIA PROFETA MODELLO DI CONSACRAZIONE

Elia salì sulla cima del Carmelo; gettatosi a terra, pose la sua faccia tra le ginocchia…
«Ecco, una nuvola, piccola come una mano d’uomo, sale dal mare»

(1Re, 18,44)

Elia profeta può essere considerato da noi carmelitane modello di consacrazione a Dio, perchè egli desidera testimoniare che l'unico amore della sua Vita è il Signore.
L'itinerario esistenziale di Elia appare come il percorso che ogni consacrato/a può seguire per la donazione di sé al Signore Dio e ai fratelli.
Tale cammino eliano, già “figura” anticotestamentaria della sequela Christi che caratterizzerà i discepoli di Gesù, si avvia dopo l'incontro con una “Parola di Attrazione” all'Amore esclusivo di Dio, una Parola profetica che dice tutto di sé alla creatura, donandole vita e invitandola a diventare ella stessa Parola da donare agli altri.
Infatti, Elia vive le esperienze dell'annuncio di Dio e della denuncia contro l'ingiustizia e l'immoralità diffusa nel popolo fino a scontrarsi vittoriosamente con i profeti di Baal, costruttori ed adoratori di idoli sul monte Carmelo e falsi profeti corrotti del suo tempo.
L'amore che spinge Elia a combattere la regina “idolatrica” Gezabele è quell'Amore audace che vuole servire con tutta la passione umana di forza e volontà, perchè esclusivo, unico, non intaccato da altri “amori minori ed artificiali”, da amori apparenti, “di plastica”, ma è un rapporto amoroso ravvivato da un fuoco interiore dello Spirito che lo rende solidale con il Signore e con tutti coloro che lottano quotidianamente per vivere dignitosamente e onestamente al cospetto del Dio Vivente.
Tuttavia, in queste esperienze di esaltanti e trionfanti battaglie Elia non conosce veramente il volto di Dio; lo conoscerà ed amerà veramente solo dopo averlo incontrato nel silenzio spirituale del suo cuore sul monte Horeb.
Infatti, l'amore che nasce dal cuore di Elia profeta come quello che ogni consacrato sente di aver ricevuto nel Battesimo fin dalla coscientizzazione della propria vocazione a seguire il Figlio di Dio è necessario passi attraverso stadi di verifica e prova delle motivazioni che spingono ad un amore soprannaturale così inconoscibile, ma irresistibile.
Sembra necessario imparare o reimparare ad amare, perchè amare Dio non è come amare una creatura. La sproporzione tra i due “amanti” rende necessario un percorso di crescita dell'uomo che si innalza a Dio solo dopo che Dio si è “abbassato”, cioè sacrificato per lui al fine riempirlo del Suo Amore vitale, rendendolo consapevole di essere stato salvato.
L'uomo senza Dio non è capace di amare, nè se stesso, nè gli altri; può scambiare l'amore con l'esperienza di piaceri sensibili e suggestivi sempre temporanei e passeggeri, tanto tangibili e capaci di motivare pensieri, parole e azioni per soddisfare la ricerca del benessere proprio, ma non è in grado di aprirsi alla Rivelazione di un amore che è più grande delle proprie percezioni e dei propri sentimenti naturali.
Il profeta Elia ha vissuto l'intensità dell'isolamento penitente presso il torrrente Chérit in uno sforzo di ascesi che lo ha convinto di essere “forte” dopo le minacce espresse contro il re Acab, ha alimentato il proprio fervore per le vittorie contro i profeti di Baal, ha usato tutta la “propria forza” nel sostenere i più deboli come la Vedova di Sarepta, ma di fronte alla minaccia per la propria vita manifestata dalla regina Gezabele crolla in un'esperienza nuova e misteriosa, quella della propria debolezza.
Elia profeta ha paura, non comprende perchè prova sentimenti di terrore e paura di fronte ad una minaccia così ovvia, tanto più dopo una vittoria eclatante come quella conseguita sul Monte Carmelo, che a suo avviso avrebbe dovuto guidare alla conversione tutto il popolo.
E invece Elia è deluso e spaventato, il suo modo di servire il Dio Unico, i suoi atteggiamenti, le sue scelte, le sue parole non sono state pienamente ascoltate dal popolo e così egli entra nell'esperienza del fallimento personale e dell'incomprensibilità di quanto prova e vive.
Elia sceglie di “fuggire” verso le proprie origini, verso le origini del popolo che Dio ha eletto e prediletto, verso il Monte Horeb dove Dio ha parlato a Mosè nel roveto ardente.
Egli intraprende un cammino in una direzione di fuga che il Signore non gli ha indicato o comandato, i suoi passi si fanno via via pesanti, scoraggiato e quasi disperato chiede di morire perchè non si sente migliore dei suoi padri, di coloro che gli hanno dato la vita e insegnato a viverla.
Il Signore Dio accetta di affiancare Elia nel suo cammino di fuga da se stesso, dalla verità di sé, per reincontrarlo quando si riaprirà all'ascolto della Parola che solo il silenzio può far risuonare nel suo cuore e nella suo mente come lieve soffio di Spirito.
Dio lo accompagna passo passo esortandolo a mangiare, ad alimentarsi per vivere, lo sprona a non lasciarsi morire e schiacciare dallo scoraggiamento della delusione fino al Monte Horeb. Lì il profeta “fallito” non si apre subito alla gioia per l'arrivo alla mèta desiderata, ma vive un ulteriore ripiegamento su di sé, quello di rifugiarsi nella caverna e si chiude a Dio, a sé e agli altri.
Ecco l'intervento diretto di Dio con la Sua Parola: “Che fai qui Elia?”...sì Dio si rivolge direttamente a Lui per chiedergli i motivi per cui fugge, che cosa sta provando nel suo cuore, che cosa lo agita e lo sconvolge tanto da allontanarsi dal popolo e in sostanza da Dio stesso.
Elia si apre, si confida e risponde: «Sono pieno di zelo per il Signore degli eserciti, poiché gli Israeliti hanno abbandonato la tua alleanza, hanno demolito i tuoi altari, hanno ucciso di spada i tuoi profeti. Sono rimasto solo ed essi tentano di togliermi la vita».
Nella confidenza di Elia a Dio si trovano tutti i sentimenti che possono animare il cuore del consacrato che è chiamato a reimparare a “sentire”, a dare un nome ai propri sentimenti per riorientrali verso Dio.
Elia ha sentimenti di amore zelante verso Dio, ma è scontento e deluso che gli israeliti non lo abbiano ascoltato, quindi appare più deluso del suo insuccesso che dell'effettivo stato spirituale dei fratelli, verso i quali rimane giustamente indignato per i gravi delitti di profanazione e violenza, ma non vede oltre se stesso e la propria persona, ritenendosi l'unico profeta esistente e per lo più impaurito per la propria vita, così ardentemente donata fino a poco tempo prima in difesa della purezza della fede.
Nella tempesta di questi sentimenti contraddittori e confusi Elia avvia un processo di liberazione da quell'autocentrismo che gli ha impedito di vedere e apprezzare la fedeltà degli altri piccoli gruppi profetici che lottavano per il Dio Unico.
L'intensità dei sentimenti di Elia si va gradualmente trasformando e maturando verso una nuova visione di Dio: nel silenzio delle proprie assordanti convinzioni ed ostinazioni scorge un nuovo modo di leggere la presenza di Dio nella sua vita e nel modo di servirlo.
Da quel momento Elia potrà riapprezzare il valore dei piccoli segni, dei piccoli gesti profetici ed al contempo “miracolosi” agli occhi di Dio.
Ecco la “crisi sanante” di Elia quale modello per il consacrato che accetta di passare attraverso la “notte oscura” del proprio fallimento umano per essere ricreato “sposo e amato” da Dio per servirlo con “piccoli mezzi”, con strumenti umanamente depotenziati, ma divinamente sostenuti da Colui che accompagna il proprio amico e servitore.
Ricordiamo il valore salvifico dei “pezzi di pane e carne” portati ad Elia dai corvi per vivere il nascondimento della contemplazione, del “pugno di farina e del poco olio” che ha salvato la vita della Vedova di Sarepta e del figlio ormai destinati a morire sotto il peso della carestia, il “poco pane e l'acqua” ricevuti nel deserto in cammino verso l'Horeb schiacciato dalla disperazione, la “piccola nuvoletta” che sale dal mare dopo le sette scalate del ragazzo sulla vetta per conto del suo padre spirituale, come una mano di uomo che si tende all'umanità perchè torni a credere e sperare in Dio: questo è quanto noi carmelitane possiamo evidenziare e promuovere quale stile di vita consacrata con l'aiuto e protezione della Beata Vergine Maria raffigurata dalla tradizione carmelitana proprio nella “nube che sale dal mare”.
La lettura dei segni nascosti della presenza di Dio nelle nostre giornate può aiutarci come consacrati a vivere gioiosamente la fraternità, come mosaico armonioso delle differenze umane e spirituali donate da Dio quali piccoli tasselli che di per sé soli sarebbero scartati, ma che nell'insieme della composizione mostrano la forza della propria “forma e colore” scolpiti e dipinti dal Creatore.
Appare necessario saper riconoscere il bene dai piccoli gesti e segni verso i propri fratelli, perchè essi rappresentano la prima “opera di mediazione” che apre la porta dell'accoglienza, come una chiave che è sì tanto piccola rispetto alla porta che può aprirsi, ma che è la sola ad avere la capacità di far “scorrere gli ingranaggi” della solidarietà e della generosità.
Per noi carmelitane luogo privilegiato di apprendimento di tale piccolezza è quello della preghiera, luogo ove sperimenti costantemente il mistero della piccolezza creaturale di fronte all'immensità di un Dio che dialoga con la creatura attraverso la Parola, i Sacramenti, la fraternità, la comunità, per essere sempre aperte e tese verso un'orizzonte ampio, ma non pienamente tracciabile, disposte ad allargare il cuore all'Inconoscibile, ma certe della presenza di Gesù fra noi e in noi.



(Commento alla Lettera “Scrutate”, indirizzata dalla Congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica ai consacrati e alle consacrate, Libreria Editrice Vaticana, 2014, pp. 37-47)



Nessun commento:

Posta un commento