domenica 28 giugno 2015

LA GIOIA DI ESSERE CARMELITANE...



Vivere la profondità del proprio Battesimo, la regalità divina della propria esistenza umana, la dimensione profetica del proprio dialogo intimo con Dio e la vocazione mediatrice tra Dio e gli uomini nella vita contemplativa e claustrale significa scoprire poco a poco quale sia stato fin dalla nascita il progetto di amore che Dio ha avuto sulla propria persona e sulla propria anima. Essere portate dalla mano di Dio nello spazio simbolico della clausura significa farsi sorprendere dalla “gelosia” di un Dio che non si accontenta di una sola porzione del cuore umano. Colei che è chiamata a vivere i voti di povertà, castità e obbedienza secondo la Regola e le Costituzioni carmelitane diverrà consapevole che fin dal proprio Battesimo lo Spirito Santo è stato sovrano della sua vita: come Sposa è stata nascosta dallo Sposo agli sguardi del mondo e delle creature perché divenisse la sola Regina a conquistare il Suo cuore secondo il modello della Beata Vergine Maria; come Carmelitana discendente dell’eredità profetica di Elia parlerà al Signore Dio nel silenzio del Suo cuore liberato da tutto ciò che impedisce il dialogo con l’Amato e potrà contemplare così i misteri di amore che il Cuore di Gesù attende di comunicare a tutta l’umanità; come Cristiana sarà mediatrice con Cristo Sacerdote e Sposo per tutti gli uomini e le donne, per tutti i fratelli e le sorelle, soprattutto per coloro che non hanno la forza di alzare le mani al Cielo per pregare, per coloro che non hanno voce per innalzare un canto di lode al Signore Dio. La Sposa carmelitana è nascosta con Cristo in Dio attraverso una quotidianità che rende invisibili tutti i suoi sentimenti, i suoi pensieri e i suoi gesti che appartengono così solo a Dio, custode della sacralità della vita sponsale nelle sue dimensioni di cuore, mente, corpo e spirito. Dio vuole tutto per sé e dunque la Sposa è un corpo solo ed uno spirito solo con Gesù Sposo, che la conduce alla ricerca di ciò che è sempre più invisibile agli occhi degli esseri umani perché sia solo lo Sposo a conoscere gli atti di amore che la Sposa compie per Lui. Ecco dunque il dialogo invisibile della Sposa con Gesù nel “talamo nuziale” della propria cella ove lo Sposo le parla con le parole divine della Sacra Scrittura; ecco dunque i sentimenti di gioia e di dolore raccolti nell’ "otre nascosto della rinuncia di sé” perché lo Sposo sia felice e lo siano anche coloro che condividono lo stesso amore sponsale, le proprie sorelle; ecco dunque l’invisibilità dei gesti e degli atteggiamenti che la Sposa rende puri ed amabili perché ogni atto, ogni parola, ogni tratto esteriore comunichi rispetto verso ogni consorella, sacra quanto l’Ostia consacrata dal sacerdote nell’Eucarestia quotidiana. La gioia di vivere i “voti” di povertà, castità e obbedienza come vincoli di amore: la gioia di essere Regina del Cuore di Dio perché la Sposa ha come unica ricchezza Gesù Sposo senza alcun bene materiale e spirituale che non sia in comunione con le proprie sorelle; la gioia di intercedere come un sacerdote per l’intera umanità salvata dal Cristo che unisce la Sposa alla propria volontà per dare la vita a coloro che Lui ama; la gioia di essere Sposa perchè il suo cuore non ha altro sentimento, pensiero ed immagine che quella del proprio Sposo crocifisso per Lei.

domenica 21 giugno 2015

LA PUREZZA DI CUORE...DESIDERIO DI FELICITA'...PAPA FRANCESCO PARLA AI GIOVANI.


[...]

1. Il desiderio della felicità
La parola beati, ossia felici, compare nove volte in questa che è la prima grande predica di Gesù (cfr Mt 5,1-12). È come un ritornello che ci ricorda la chiamata del Signore a percorrere insieme a Lui una strada che, nonostante tutte le sfide, è la via della vera felicità.
Sì, cari giovani, la ricerca della felicità è comune a tutte le persone di tutti i tempi e di tutte le età. Dio ha deposto nel cuore di ogni uomo e di ogni donna un desiderio irreprimibile di felicità, di pienezza. Non avvertite che i vostri cuori sono inquieti e in continua ricerca di un bene che possa saziare la loro sete d’infinito?
I primi capitoli del Libro della Genesi ci presentano la splendida beatitudine alla quale siamo chiamati e che consiste in comunione perfetta con Dio, con gli altri, con la natura, con noi stessi. Il libero accesso a Dio, alla sua intimità e visione era presente nel progetto di Dio per l’umanità dalle sue origini e faceva sì che la luce divina permeasse di verità e trasparenza tutte le relazioni umane. In questo stato di purezza originale non esistevano “maschere”, sotterfugi, motivi per nascondersi gli uni agli altri. Tutto era limpido e chiaro.
Quando l’uomo e la donna cedono alla tentazione e rompono la relazione di fiduciosa comunione con Dio, il peccato entra nella storia umana (cfr Gen 3). Le conseguenze si fanno subito notare anche nelle loro relazioni con sé stessi, l’uno con l’altro, con la natura. E sono drammatiche! La purezza delle origini è come inquinata. Da quel momento in poi l’accesso diretto alla presenza di Dio non è più possibile. Subentra la tendenza a nascondersi, l’uomo e la donna devono coprire la propria nudità. Privi della luce che proviene dalla visione del Signore, guardano la realtà che li circonda in modo distorto, miope. La “bussola” interiore che li guidava nella ricerca della felicità perde il suo punto di riferimento e i richiami del potere, del possesso e della brama del piacere a tutti i costi li portano nel baratro della tristezza e dell’angoscia.
Nei Salmi troviamo il grido che l’umanità rivolge a Dio dal profondo dell’anima: «Chi ci farà vedere il bene, se da noi, Signore, è fuggita la luce del tuo volto?» (Sal 4,7). Il Padre, nella sua infinita bontà, risponde a questa supplica inviando il suo Figlio. In Gesù, Dio assume un volto umano. Con la sua incarnazione, vita, morte e risurrezione Egli ci redime dal peccato e ci apre orizzonti nuovi, finora impensabili.
E così, in Cristo, cari giovani, si trova il pieno compimento dei vostri sogni di bontà e felicità. Lui solo può soddisfare le vostre attese tante volte deluse dalle false promesse mondane. Come disse san Giovanni Paolo II: «è Lui la bellezza che tanto vi attrae; è Lui che vi provoca con quella sete di radicalità che non vi permette di adattarvi al compromesso; è Lui che vi spinge a deporre le maschere che rendono falsa la vita; è Lui che vi legge nel cuore le decisioni più vere che altri vorrebbero soffocare. E’ Gesù che suscita in voi il desiderio di fare della vostra vita qualcosa di grande» (Veglia di preghiera a Tor Vergata, 19 agosto 2000: Insegnamenti XXIII/2, [2000], 212).
2. Beati i puri di cuore…
Adesso cerchiamo di approfondire come questa beatitudine passi attraverso la purezza del cuore. Prima di tutto dobbiamo capire il significato biblico della parola cuore. Per la cultura ebraica il cuore è il centro dei sentimenti, dei pensieri e delle intenzioni della persona umana. Se la Bibbia ci insegna che Dio non vede le apparenze, ma il cuore (cfr 1 Sam 16,7), possiamo dire anche che è a partire dal nostro cuore che possiamo vedere Dio. Questo perché il cuore riassume l’essere umano nella sua totalità e unità di corpo e anima, nella sua capacità di amare ed essere amato.
Per quanto riguarda invece la definizione di “puro”, la parola greca utilizzata dall’evangelista Matteo è katharos e significa fondamentalmente pulito, limpido, libero da sostanze contaminanti. Nel Vangelo vediamo Gesù scardinare una certa concezione della purezza rituale legata all’esteriorità, che vietava ogni contatto con cose e persone (tra cui i lebbrosi e gli stranieri), considerati impuri. Ai farisei che, come tanti giudei di quel tempo, non mangiavano senza aver fatto le abluzioni e osservavano numerose tradizioni legate al lavaggio di oggetti, Gesù dice in modo categorico: «Non c’è nulla fuori dell’uomo che, entrando in lui, possa renderlo impuro. Ma sono le cose che escono dall’uomo a renderlo impuro. Dal di dentro infatti, cioè dal cuore degli uomini, escono i propositi di male: impurità, furti, omicidi, adultèri, avidità, malvagità, inganno, dissolutezza, invidia, calunnia, superbia, stoltezza» (Mc 7,15.21-22).
In che consiste dunque la felicità che scaturisce da un cuore puro? A partire dall’elenco dei mali che rendono l’uomo impuro, enumerati da Gesù, vediamo che la questione tocca soprattutto il campo delle nostre relazioni. Ognuno di noi deve imparare a discernere ciò che può “inquinare” il suo cuore, formarsi una coscienza retta e sensibile, capace di «discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto» (Rm 12,2). Se è necessaria una sana attenzione per la custodia del creato, per la purezza dell’aria, dell’acqua e del cibo, tanto più dobbiamo custodire la purezza di ciò che abbiamo di più prezioso: i nostri cuori e le nostre relazioni. Questa “ecologia umana” ci aiuterà a respirare l’aria pura che proviene dalle cose belle, dall’amore vero, dalla santità.
Una volta vi ho posto la domanda: Dov’è il vostro tesoro? Su quale tesoro riposa il vostro cuore? (cfr Intervista con alcuni giovani del Belgio, 31 marzo 2014). Sì, i nostri cuori possono attaccarsi a veri o falsi tesori, possono trovare un riposo autentico oppure addormentarsi, diventando pigri e intorpiditi. Il bene più prezioso che possiamo avere nella vita è la nostra relazione con Dio. Ne siete convinti? Siete consapevoli del valore inestimabile che avete agli occhi di Dio? Sapete di essere amati e accolti da Lui in modo incondizionato, così come siete? Quando questa percezione viene meno, l’essere umano diventa un enigma incomprensibile, perché proprio il sapere di essere amati da Dio incondizionatamente dà senso alla nostra vita. Ricordate il colloquio di Gesù con il giovane ricco (cfr Mc 10,17-22)? L’evangelista Marco nota che il Signore fissò lo sguardo su di lui e lo amò (cfr v. 21), invitandolo poi a seguirlo per trovare il vero tesoro. Vi auguro, cari giovani, che questo sguardo di Cristo, pieno di amore, vi accompagni per tutta la vostra vita.
Il periodo della giovinezza è quello in cui sboccia la grande ricchezza affettiva presente nei vostri cuori, il desiderio profondo di un amore vero, bello e grande. Quanta forza c’è in questa capacità di amare ed essere amati! Non permettete che questo valore prezioso sia falsato, distrutto o deturpato. Questo succede quando nelle nostre relazioni subentra la strumentalizzazione del prossimo per i propri fini egoistici, talvolta come puro oggetto di piacere. Il cuore rimane ferito e triste in seguito a queste esperienze negative. Vi prego: non abbiate paura di un amore vero, quello che ci insegna Gesù e che san Paolo delinea così: «La carità è magnanima, benevola è la carità; non è invidiosa, non si vanta, non si gonfia d’orgoglio, non manca di rispetto, non cerca il proprio interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell'ingiustizia ma si rallegra della verità. Tutto scusa, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta. La carità non avrà mai fine» (1 Cor 13, 4-8).
Nell’invitarvi a riscoprire la bellezza della vocazione umana all’amore, vi esorto anche a ribellarvi contro la diffusa tendenza a banalizzare l’amore, soprattutto quando si cerca di ridurlo solamente all’aspetto sessuale, svincolandolo così dalle sue essenziali caratteristiche di bellezza, comunione, fedeltà e responsabilità. Cari giovani, «nella cultura del provvisorio, del relativo, molti predicano che l’importante è “godere” il momento, che non vale la pena di impegnarsi per tutta la vita, di fare scelte definitive, “per sempre”, perché non si sa cosa riserva il domani. Io, invece, vi chiedo di essere rivoluzionari, vi chiedo di andare controcorrente; sì, in questo vi chiedo di ribellarvi a questa cultura del provvisorio, che, in fondo, crede che voi non siate in grado di assumervi responsabilità, crede che voi non siate capaci di amare veramente. Io ho fiducia in voi giovani e prego per voi. Abbiate il coraggio di andare controcorrente. E abbiate il coraggio anche di essere felici» (Incontro con i volontari alla GMG di Rio, 28 luglio 2013).
Voi giovani siete dei bravi esploratori! Se vi lanciate alla scoperta del ricco insegnamento della Chiesa in questo campo, scoprirete che il cristianesimo non consiste in una serie di divieti che soffocano i nostri desideri di felicità, ma in un progetto di vita capace di affascinare i nostri cuori!
3. ... perché vedranno Dio
Nel cuore di ogni uomo e di ogni donna risuona continuamente l’invito del Signore: «Cercate il mio volto!» (Sal 27,8). Allo stesso tempo ci dobbiamo sempre confrontare con la nostra povera condizione di peccatori. E’ quanto leggiamo per esempio nel Libro dei Salmi: «Chi potrà salire il monte del Signore? Chi potrà stare nel suo luogo santo? Chi ha mani innocenti e cuore puro» (Sal 24,3-4). Ma non dobbiamo avere paura né scoraggiarci: nella Bibbia e nella storia di ognuno di noi vediamo che è sempre Dio che fa il primo passo. E’ Lui che ci purifica affinché possiamo essere ammessi alla sua presenza.
Il profeta Isaia, quando ricevette la chiamata del Signore a parlare nel suo nome, si spaventò e disse: «Ohimè! Io sono perduto, perché un uomo dalle labbra impure io sono» (Is 6,5). Eppure il Signore lo purificò, inviandogli un angelo che toccò la sua bocca e gli disse: «E’ scomparsa la tua colpa e il tuo peccato è espiato» (v. 7). Nel Nuovo Testamento, quando sul lago di Gennèsaret Gesù chiamò i suoi primi discepoli e compì il prodigio della pesca miracolosa, Simon Pietro cadde ai suoi piedi dicendo: «Signore, allontanati da me, perché sono un peccatore» (Lc 5,8). La risposta non si fece aspettare: «Non temere; d’ora in poi sarai pescatore di uomini» (v. 10). E quando uno dei discepoli di Gesù gli chiese: «Signore, mostraci il Padre e ci basta», il Maestro rispose: «Chi ha visto me, ha visto il Padre» (Gv 14,8-9).
L’invito del Signore a incontrarlo è rivolto perciò ad ognuno di voi, in qualsiasi luogo e situazione si trovi. Basta «prendere la decisione di lasciarsi incontrare da Lui, di cercarlo ogni giorno senza sosta. Non c’è motivo per cui qualcuno possa pensare che questo invito non è per lui» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 3). Siamo tutti peccatori, bisognosi di essere purificati dal Signore. Ma basta fare un piccolo passo verso Gesù per scoprire che Lui ci aspetta sempre con le braccia aperte, in particolare nel Sacramento della Riconciliazione, occasione privilegiata di incontro con la misericordia divina che purifica e ricrea i nostri cuori.
Sì, cari giovani, il Signore vuole incontrarci, lasciarsi “vedere” da noi. “E come?” – mi potrete domandare. Anche santa Teresa d’Avila, nata in Spagna proprio 500 anni fa, già da piccola diceva ai suoi genitori: «Voglio vedere Dio». Poi ha scoperto la via dellapreghiera come «un intimo rapporto di amicizia con Colui dal quale ci sentiamo amati» (Libro della vita, 8, 5). Per questo vi domando: voi pregate? Sapete che potete parlare con Gesù, con il Padre, con lo Spirito Santo, come si parla con un amico? E non un amico qualsiasi, ma il vostro migliore e più fidato amico! Provate a farlo, con semplicità. Scoprirete quello che un contadino di Ars diceva al santo Curato del suo paese: quando sono in preghiera davanti al Tabernacolo, «io lo guardo e lui mi guarda» (Catechismo della Chiesa Cattolica, 2715).
Ancora una volta vi invito a incontrare il Signore leggendo frequentemente la Sacra Scrittura. Se non avete ancora l’abitudine, iniziate dai Vangeli. Leggete ogni giorno un brano. Lasciate che la Parola di Dio parli ai vostri cuori, illumini i vostri passi (cfr Sal 119,105). Scoprirete che si può “vedere” Dio anche nel volto dei fratelli, specialmente quelli più dimenticati: i poveri, gli affamati, gli assetati, gli stranieri, gli ammalati, i carcerati (cfr Mt 25,31-46). Ne avete mai fatto esperienza? Cari giovani, per entrare nella logica del Regno di Dio bisogna riconoscersi poveri con i poveri. Un cuore puro è necessariamente anche un cuore spogliato, che sa abbassarsi e condividere la propria vita con i più bisognosi.
L’incontro con Dio nella preghiera, attraverso la lettura della Bibbia e nella vita fraterna vi aiuterà a conoscere meglio il Signore e voi stessi. Come accadde ai discepoli di Emmaus (cfr Lc 24,13-35), la voce di Gesù farà ardere i vostri cuori e si apriranno i vostri occhi per riconoscere la sua presenza nella vostra storia, scoprendo così il progetto d’amore che Lui ha per la vostra vita.


Alcuni di voi sentono o sentiranno la chiamata del Signore al matrimonio, a formare una famiglia. Molti oggi pensano che questa vocazione sia “fuori moda”, ma non è vero! Proprio per questo motivo, l’intera Comunità ecclesiale sta vivendo un periodo speciale di riflessione sulla vocazione e la missione della famiglia nella Chiesa e nel mondo contemporaneo. Inoltre, vi invito a considerare la chiamata alla vita consacrata o al sacerdozio. Quanto è bello vedere giovani che abbracciano la vocazione di donarsi pienamente a Cristo e al servizio della sua Chiesa! Interrogatevi con animo puro e non abbiate paura di quello che Dio vi chiede! A partire dal vostro “sì” alla chiamata del Signore diventerete nuovi semi di speranza nella Chiesa e nella società. Non dimenticate: la volontà di Dio è la nostra felicità!

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(DAL MESSAGGIO DEL SANTO PADRE FRANCESCO PER LA XXX GIORNATA MONDIALE DELLA GIOVENTÙ 2015)

domenica 14 giugno 2015

LA MADONNA ACCOMPAGNA NELLA SCELTA VOCAZIONALE: consigli di Papa Francesco.



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Vi ringrazio per questa visita, questa visita alla Madonna che è tanto importante nella nostra vita. E Lei ci accompagna anche nella scelta definitiva, la scelta vocazionale, perché Lei ha accompagnato suo Figlio nel suo cammino vocazionale che è stato tanto duro, tanto doloroso. Lei ci accompagna sempre.
Quando un cristiano mi dice, non che non ama la Madonna, ma che non gli viene di cercare la Madonna o di pregare la Madonna, io mi sento triste. Ricordo una volta, quasi 40 anni fa, ero in Belgio, in un convegno, e c’era una coppia di catechisti, professori universitari ambedue, con figli, una bella famiglia, e parlavano di Gesù Cristo tanto bene. E ad un certo punto ho detto: “E la devozione alla Madonna?” “Ma noi abbiamo superato questa tappa. Noi conosciamo tanto Gesù Cristo che non abbiamo bisogno della Madonna”. E quello che mi è venuto in mente e nel cuore è stato: “Mah… poveri orfani!”. E’ così, no? Perché un cristiano senza la Madonna è orfano. Anche un cristiano senza Chiesa è un orfano. Un cristiano ha bisogno di queste due donne, due donne madri, due donne vergini: la Chiesa e la Madonna. E per fare il “test” di una vocazione cristiana giusta, bisogna domandarsi: “Come va il mio rapporto con queste due Madri che ho?”, con la madre Chiesa e con la madre Maria. Questo non è un pensiero di “pietà”, no, è teologia pura. Questa è teologia. Come va il mio rapporto con la Chiesa, con la mia madre Chiesa, con la santa madre Chiesa gerarchica? E come va il mio rapporto con la Madonna, che è la mia Mamma, mia Madre?
Questo fa bene: non lasciarla mai e non andare da soli. Vi auguro un buon cammino di discernimento. Per ognuno di noi il Signore ha la sua vocazione, quel posto dove Lui vuol che noi viviamo la nostra vita. Ma bisogna cercarlo, trovarlo; e poi continuare, andare avanti.
Un’altra cosa che vorrei aggiungere – oltre a quella della Chiesa e della Madonna – è il senso del definitivo. Questo per noi è importante, perché stiamo vivendo una cultura del provvisorio: questo sì, ma per un tempo, e per un altro tempo… Ti sposi? Sì, sì, ma finché l’amore dura, poi ognuno a casa sua un’altra volta…
Un ragazzo – mi raccontava un vescovo – un giovane, un professionista giovane, gli ha detto: “Io vorrei diventare prete, ma soltanto per dieci anni”. E’ così, è il provvisorio. Abbiamo paura del definitivo. E per scegliere una vocazione, una vocazione qualsiasi, anche quelle vocazioni “di stato”, il matrimonio, la vita consacrata, il sacerdozio, si deve scegliere con una prospettiva del definitivo. E a questo si oppone la cultura del provvisorio. E’ una parte della cultura che a noi tocca vivere in questo tempo, ma dobbiamo viverla, e vincerla.
Benissimo. Anche su questo aspetto del definitivo, credo che uno che ha più sicura la sua strada definitiva è il Papa! Perché il Papa… dove finirà il Papa? Lì, in quella tomba, no?
Vi ringrazio tanto per questa visita, e vi invito a pregare la Madonna o, non so, a cantare… La “Salve Regina”… La sanno cantare? Cantiamo la “Salve Regina” alla Madonna tutti insieme? Andiamo!

Adesso a voi, alle vostre famiglie, a tutti do la Benedizione e vi chiedo, per favore, di pregare per me.

Grazie a voi! Grazie tante! Buon cammino!

(Dal Saluto di Papa Francesco ai giovani della Diocesi di Roma, 28 giugno 2014)

LA VOCAZIONE E' UN "ESODO" DA SE' VERSO DIO E I POVERI: una riflessione di Papa Francesco.




[...] Vorrei riflettere proprio
su quel particolare “esodo” che è la vocazione, o, meglio, la nostra

risposta alla vocazione che Dio ci dona.
Quando sentiamo la parola “esodo”, il nostro pensiero va subito agli inizi
della meravigliosa storia d’amore tra Dio e il popolo dei suoi figli, una
storia che passa attraverso i giorni drammatici della schiavitù in Egitto, la
chiamata di Mosè, la liberazione e il cammino verso la terra promessa. Il
libro dell’Esodo – il secondo libro della Bibbia –, che narra questa storia,
rappresenta una parabola di tutta la storia della salvezza, e anche della
dinamica fondamentale della fede cristiana. Infatti, passare dalla schiavitù
dell’uomo vecchio alla vita nuova in Cristo è l’opera redentrice che
avviene in noi per mezzo della fede (Ef 4,22-24). Questo passaggio è un
vero e proprio “esodo”, è il cammino dell’anima cristiana e della Chiesa
intera, l’orientamento decisivo dell’esistenza rivolta al Padre.
Alla radice di ogni vocazione cristiana c’è questo movimento
fondamentale dell’esperienza di fede: credere vuol dire lasciare sé stessi,
uscire dalla comodità e rigidità del proprio io per centrare la nostra vita in
Gesù Cristo; abbandonare come Abramo la propria terra mettendosi in
cammino con fiducia, sapendo che Dio indicherà la strada verso la nuova
terra. Questa “uscita” non è da intendersi come un disprezzo della
propria vita, del proprio sentire, della propria umanità; al contrario, chi si
mette in cammino alla sequela del Cristo trova la vita in abbondanza,
mettendo tutto sé stesso a disposizione di Dio e del suo Regno. Dice
Gesù: «Chiunque avrà lasciato case, o fratelli, o sorelle, o padre, o madre,
o figli, o campi per il mio nome, riceverà cento volte tanto e avrà in
eredità la vita eterna» (Mt 19,29). Tutto ciò ha la sua radice profonda
nell’amore. Infatti, la vocazione cristiana è anzitutto una chiamata
d’amore che attrae e rimanda oltre sé stessi, decentra la persona, innesca
«un esodo permanente dall’io chiuso in sé stesso verso la sua liberazione
nel dono di sé, e proprio così verso il ritrovamento di sé, anzi verso la
scoperta di Dio» (Benedetto XVI, Lett. Enc. Deus Caritas est, 6).
L’esperienza dell’esodo è paradigma della vita cristiana, in particolare di
chi abbraccia una vocazione di speciale dedizione al servizio del Vangelo.
Consiste in un atteggiamento sempre rinnovato di conversione e
trasformazione, in un restare sempre in cammino, in un passare dalla
morte alla vita così come celebriamo in tutta la liturgia: è il dinamismo
pasquale. In fondo, dalla chiamata di Abramo a quella di Mosè, dal
cammino peregrinante di Israele nel deserto alla conversione predicata
dai profeti, fino al viaggio missionario di Gesù che culmina nella sua morte
e risurrezione, la vocazione è sempre quell’azione di Dio che ci fa uscire
dalla nostra situazione iniziale, ci libera da ogni forma di schiavitù, ci
strappa dall’abitudine e dall’indifferenza e ci proietta verso la gioia della
comunione con Dio e con i fratelli. Rispondere alla chiamata di Dio,
dunque, è lasciare che Egli ci faccia uscire dalla nostra falsa stabilità per
metterci in cammino verso Gesù Cristo, termine primo e ultimo della
nostra vita e della nostra felicità.
Questa dinamica dell’esodo non riguarda solo il singolo chiamato, ma
l’azione missionaria ed evangelizzatrice di tutta la Chiesa. La Chiesa è
davvero fedele al suo Maestro nella misura in cui è una Chiesa “in uscita”,
non preoccupata di sé stessa, delle proprie strutture e delle proprie
conquiste, quanto piuttosto capace di andare, di muoversi, di incontrare i
figli di Dio nella loro situazione reale e di com-patire per le loro ferite. Dio
esce da sé stesso in una dinamica trinitaria di amore, ascolta la miseria
del suo popolo e interviene per liberarlo (Es 3,7). A questo modo di essere
e di agire è chiamata anche la Chiesa: la Chiesa che evangelizza esce
incontro all’uomo, annuncia la parola liberante del Vangelo, cura con la
grazia di Dio le ferite delle anime e dei corpi, solleva i poveri e i bisognosi.
Cari fratelli e sorelle, questo esodo liberante verso Cristo e verso i fratelli
rappresenta anche la via per la piena comprensione dell’uomo e per la
crescita umana e sociale nella storia. Ascoltare e accogliere la chiamata
del Signore non è una questione privata e intimista che possa confondersi
con l’emozione del momento; è un impegno concreto, reale e totale che
abbraccia la nostra esistenza e la pone al servizio della costruzione del
Regno di Dio sulla terra. Perciò la vocazione cristiana, radicata nella
contemplazione del cuore del Padre, spinge al tempo stesso all’impegno
solidale a favore della liberazione dei fratelli, soprattutto dei più poveri. Il
discepolo di Gesù ha il cuore aperto al suo orizzonte sconfinato, e la sua
intimità con il Signore non è mai una fuga dalla vita e dal mondo ma, al
contrario, «si configura essenzialmente come comunione missionaria»
(Esort. ap. Evangelii gaudium, 23).
Questa dinamica esodale, verso Dio e verso l’uomo, riempie la vita di
gioia e di significato. Vorrei dirlo soprattutto ai più giovani che, anche per
la loro età e per la visione del futuro che si spalanca davanti ai loro occhi,
sanno essere disponibili e generosi. A volte le incognite e le
preoccupazioni per il futuro e l’incertezza che intacca la quotidianità
rischiano di paralizzare questi loro slanci, di frenare i loro sogni, fino al
punto di pensare che non valga la pena impegnarsi e che il Dio della fede
cristiana limiti la loro libertà. Invece, cari giovani, non ci sia in voi la paura
di uscire da voi stessi e di mettervi in cammino! Il Vangelo è la Parola che
libera, trasforma e rende più bella la nostra vita. Quanto è bello lasciarsi
sorprendere dalla chiamata di Dio, accogliere la sua Parola, mettere i
passi della vostra esistenza sulle orme di Gesù, nell’adorazione del
mistero divino e nella dedizione generosa agli altri! La vostra vita
diventerà ogni giorno più ricca e più gioiosa!
La Vergine Maria, modello di ogni vocazione, non ha temuto di
pronunciare il proprio “fiat” alla chiamata del Signore. Lei ci accompagna
e ci guida. Con il coraggio generoso della fede, Maria ha cantato la gioia di
uscire da sé stessa e affidare a Dio i suoi progetti di vita. A lei ci rivolgiamo
per essere pienamente disponibili al disegno che Dio ha su ciascuno di
noi; perché cresca in noi il desiderio di uscire e di andare, con
sollecitudine, verso gli altri (cfr Lc 1,39). La Vergine Madre ci protegga e
interceda per tutti noi.


(Dal Messaggio per la 52.ma Giornata mondiale di preghiera per le vocazioni 29 marzo 2015)