lunedì 21 marzo 2016

Unità, armonia e bellezza...



"Ecco quanto è bello e quanto è soave che i fratelli vivano insieme..." Sembrano parole legate ad un tempo lontano oppure ad un ideale irraggiungibile, ma non è così: sono parole vere, parola di Dio, quindi eternamente valida, che realizza quanto afferma. Se pronunciata e interiorizzata con fede, produce effetto, diviene realtà. La Parola di Dio non torna a Lui senza aver fecondato la terra del nostro cuore, i sentieri bui e tortuosi della nostra mente.... Così questo salmo, scritto secoli fa, può essere attuale, se noi lo vogliamo. 
Il mondo sta cambiando attorno a noi e dentro di noi: siamo tutti coinvolti in questa rivoluzione che tocca profondamente ogni individuo e ogni gruppo: le famiglie, le comunità religiose e laiche (famiglie carismatiche), i gruppi di amici, tutti. Come affrontiamo quanto turba il nostro cuore? Cosa accade alla visione cristiana e umana della sessualità, ai principi fondamentali del rapporto uomo-donna, alla vita consacrata in questo tempo di "guerra"? Nel Vangelo troviamo quanto è necessario per orientare la rotta e guardare alla vita e alla relazione con i fratelli, con speranza ed energia costruttiva. Non possiamo e non dobbiamo restare nell'angoscia prodotta dai nostri tempi. Nessun compromesso, disorientamento o spavento, ma un sollecito e rinnovato atteggiamento di fiducia serena nel Signore che guida la storia e indica i semi di bene presenti nella società e nella vita di tanti cristiani.
Ogni cristiano per comprendere se stesso, la sua profonda identità, guarda alla Trinità, comunione del Figlio con il Padre nello Spirito Santo. In questo sguardo alimenta il desiderio di unione a Dio e comunione con gli uomini. Il consacrato, segno visibile e testimone della fraternità universale, ricorda la meta, la nostra chiamata al servizio, alla lode di Dio, alla conferma di un'alleanza meravigliosa che Egli ha pensato per congiungere cielo e terra. Quante volte abbiamo contemplato con stupore l'arcobaleno, riconoscendolo un capolavoro naturale che affascina chiunque lo guarda... Segno biblico di questo accordo che Dio stipula con l'uomo, è pure simile ad un ponte visibile solo attraverso "sottili lacrime" di prove vissute con fede, che permettono di percepire i "colori della grazia", le sfumature dei raggi del Sole di giustizia, la Luce vera del mondo che si riaccenderà vittoriosa nella veglia pasquale. Questo ponte tra cielo e terra è percorso da Dio e anche l'uomo può percorrerlo con fede, speranza e carità. E' proposta divina per un cammino di unificazione e di unione: tutto ciò che non segue questa logica armoniosa, non viene da Dio. E ogni cuore che aderisce al suo creativo progetto di salvezza per tutti e per ciascuno, diventa anch'esso ponte attraverso il quale Dio comunica qualcosa di se stesso. Non si lede mai la dignità del fratello quando si accoglie e si ama in questo contesto di unione: unione in se stessi, unione uomo-donna, unione familiare, unione di carità nella comunità, unione di intenti nella Chiesa edificata con pietre vive: tutto diventa fecondo, generosamente generatore di vita. Il venerdì Santo sentiamo pronunciare dalle labbra del sacerdote questa preghiera: Ricordati, Padre, della tua misericordia; santifica e proteggi sempre questa tua famiglia, per la quale Cristo, tuo Figlio, inaugurò nel suo sangue il mistero pasquale. Affianchiamo a questa richiesta che la Chiesa universale farà vivendo il centro dell'anno liturgico come momento di grazia profonda per una vita da vivere in fedeltà e letizia, una frase "carmelitana" ereditata da secoli e pronunciata nuovamente oggi dalla nostra comunità che si rivolge alla comunità sutrina, in comunione di ricerca e attese: Offro a Maria tutta la comunità e la prego di custodirla con quell'amore con cui custodì il Verbo incarnato (S.M.Maddalena de'Pazzi). 

Nell'amicizia del Signore che ha sconfitto la morte, le Sorelle Carmelitane


martedì 2 febbraio 2016

AUGURI A TUTTI I CONSACRATI PER IL GIUBILEO DELLA VITA CONSACRATA




INCONTRO DEL SANTO PADRE FRANCESCO 
CON I PARTECIPANTI AL GIUBILEO DELLA VITA CONSACRATA


Aula Paolo VI
Lunedì, 1° febbraio 2016


Parole pronunciate dal Santo Padre:

Cari sorelle e fratelli,

ho preparato un discorso per questa occasione sui temi della vita consacrata e sui tre pilastri; ce ne sono altri, ma tre importanti della vita consacrata. Il primo è la profezia, l’altro è la prossimità e il terzo è la speranza. Profezia, prossimità, speranza. Ho consegnato al Cardinale Prefetto il testo, perché leggerlo è un po’ noioso, e preferisco parlare con voi di quello che mi viene dal cuore. D’accordo?

Religiosi e religiose, cioè uomini e donne consacrati al servizio del Signore che esercitano nella Chiesa questa strada di una povertà forte, di un amore casto che li porta ad una paternità e ad una maternità spirituale per tutta la Chiesa, un’obbedienza… Ma in questa obbedienza ci manca sempre qualcosa, perché la perfetta obbedienza è quella del Figlio di Dio, che si è annientato, si è fatto uomo per obbedienza, fino alla morte di Croce. Ma ci sono tra voi uomini e donne che vivono un’obbedienza forte, un’obbedienza… - non militare, no, questo no; quella è disciplina, un’altra cosa – un’obbedienza di donazione del cuore. E questo è profezia. “Ma tu non hai voglia di fare qualcosa, quell’altra?...” - “Sì, ma secondo le regole devo fare questo, questo e questo. E secondo le disposizioni questo, questo e questo. E se non vedo chiaro qualcosa, parlo con il superiore, con la superiora, e, dopo il dialogo, obbedisco”. Questa è la profezia, contro il seme dell’anarchia, che semina il diavolo. “Tu che fai?” - “Io faccio quello che mi piace”. L’anarchia della volontà è figlia del demonio, non è figlia di Dio. Il Figlio di Dio non è stato anarchico, non ha chiamato i suoi a fare una forza di resistenza contro i suoi nemici; Lui stesso lo ha detto a Pilato: “Se io fossi un re di questo mondo avrei chiamato i miei soldati per difendermi”. Ma Lui ha fatto l’obbedienza del Padre. Ha chiesto soltanto: “Padre, per favore, no, questo calice no... Ma si faccia quello che Tu vuoi”. Quando voi accettate per obbedienza una cosa, che forse tante volte non ci piace… [fa il gesto di ingoiare] …si deve ingoiare quell’obbedienza, ma si fa. Dunque, la profezia. La profezia è dire alla gente che c’è una strada di felicità, di grandezza, una strada che ti riempie di gioia, che è proprio la strada di Gesù. È la strada di essere vicino a Gesù. È un dono, è un carisma la profezia e lo si deve chiedere allo Spirito Santo: che io sappia dire quella parola, in quel momento giusto; che io faccia quella cosa in quel momento giusto; che la mia vita, tutta, sia una profezia. Uomini e donne profeti. E questo è molto importante. “Mah, facciamo come fanno tutti…”. No. La profezia è dire che c’è qualcosa di più vero, di più bello, di più grande, di più buono al quale tutti siamo chiamati.

Poi l’altra parola è la prossimità. Uomini e donne consacrate, ma non per allontanarmi dalla gente e avere tutte le comodità, no, per avvicinarmi e capire la vita dei cristiani e dei non cristiani, le sofferenze, i problemi, le tante cose che si capiscono soltanto se un uomo e una donna consacrati diventano prossimo: nella prossimità. “Ma, Padre, io sono una suora di clausura, cosa devo fare?”. Pensate a santa Teresa del Bambin Gesù, patrona delle missioni, che con il suo cuore ardente era prossima, e le lettere che riceveva dai missionari la facevano più prossima alla gente. Prossimità. Diventare consacrati non significa salire uno, due, tre scalini nella società. È vero, tante volte sentiamo i genitori: “Sa Padre, io ho una figlia suora, io ho un figlio frate!”. E lo dicono con orgoglio. Ed è vero! È una soddisfazione per i genitori avere i figli consacrati, questo è vero. Ma per i consacrati non è uno status di vita che mi fa guardare gli altri così [con distacco]. La vita consacrata mi deve portare alla vicinanza con la gente: vicinanza fisica, spirituale, conoscere la gente. “Ah sì Padre, nella mia comunità la superiora ci ha dato il permesso di uscire, andare nei quartieri poveri con la gente… “ – “E nella tua comunità, ci sono suore anziane?” – “Sì, sì… C’è l’infermeria, al terzo piano” – “E quante volte al giorno tu vai a trovare le tue suore, le anziane, che possono essere tua mamma o tua nonna?” – “Ma, sa Padre, io sono molto impegnata nel lavoro e non ce la faccio ad andare…”. Prossimità! Qual è il primo prossimo di un consacrato o di una consacrata? Il fratello o la sorella della comunità. Questo è il vostro primo prossimo. E anche una prossimità carina, buona, con amore. Io so che nelle vostre comunità mai si chiacchiera, mai, mai… Un modo di allontanarsi  chiacchiere. Sentite bene: non le chiacchiere, il terrorismo delle chiacchiere. Perché chi chiacchiera è un terrorista. È un terrorista dentro la propria comunità, perché butta come una bomba la parola contro questo, contro quello, e poi se va tranquillo. Distrugge! Chi fa questo distrugge, come una bomba, e lui si allontana. Questa, l’apostolo Santiago diceva che era la virtù forse più difficile, la virtù umana e spirituale più difficile da avere, quella di dominare la lingua. Se ti viene di dire qualcosa contro un fratello o una sorella, buttare una bomba di chiacchiera, morditi la lingua! Forte! Terrorismo nelle comunità, no! “Ma Padre se c’è qualcosa, un difetto, qualcosa da correggere?”. Tu lo dici alla persona: tu hai questo atteggiamento che mi dà fastidio, o non sta bene. O se non è conveniente – perché alle volte non è prudente – tu lo dici alla persona che può rimediare, che può risolvere il problema e a nessun altro. Capito? Le chiacchiere non servono. “Ma in capitolo?”. Lì sì! In pubblico, tutto quello che senti che devi dire; perché c’è la tentazione di non dire le cose in capitolo, e poi di fuori: “Hai visto la priora? Hai visto la badessa? Hai visto il superiore?...”. Ma perché non lo ha detto lì in capitolo?... È chiaro questo? Sono virtù di prossimità. E i Santi avevano questo, i Santi consacrati avevano questo. Santa Teresa di Gesù Bambino mai, mai si è lamentata del lavoro, del fastidio che le dava quella suora che doveva portare alla sala da pranzo, tutte le sere: dal coro alla sala da pranza. Mai! Perché quella povera suora era molto anziana, quasi paralitica, camminava male, aveva dolori – anch’io la capisco! –, era anche un po’ nevrotica… Mai, mai è andata da un’altra suora a dire: “Ma questa come dà fastidio!”. Cosa faceva? La aiutava ad accomodarsi, le portava il tovagliolo, le spezzava il pane e le faceva un sorriso. Questa si chiama prossimità. Prossimità! Se tu butti la bomba di una chiacchiera nella tua comunità, questa non è prossimità: questo è fare la guerra! Questo è allontanarti, questo è provocare distanze, provocare anarchismo nella comunità. E se, in questo Anno della Misericordia, ognuno di voi riuscisse a non fare mai il terrorista chiacchierone o chiacchierona, sarebbe un successo per la Chiesa, un successo di santità grande! Fatevi coraggio! Le prossimità.

E poi la speranza. E vi confesso che a me costa tanto quando vedo il calo delle vocazioni, quando ricevo i vescovi e domando loro: “Quanti seminaristi avete?” - “4, 5…”. Quando voi, nelle vostre comunità religiose – maschili o femminili – avete un novizio, una novizia, due… e la comunità invecchia, invecchia…. Quando ci sono monasteri, grandi monasteri, e il Cardinale Amigo Vallejo [si rivolge a lui] può raccontarci, in Spagna, quanti ce ne sono, che sono portati avanti da 4 o 5 suore vecchiette, fino alla fine… E a me questo fa venire una tentazione che va contro la speranza: “Ma, Signore, cosa succede? Perché il ventre della vita consacrata diventa tanto sterile?”. Alcune congregazioni fanno l’esperimento della “inseminazione artificiale”. Che cosa fanno? Accolgono…: “Ma sì, vieni, vieni, vieni…”. E poi i problemi che ci sono lì dentro… No. Si deve accogliere con serietà! Si deve discernere bene se questa è una vera vocazione e aiutarla a crescere. E credo che contro la tentazione di perdere la speranza, che ci dà questa sterilità, dobbiamo pregare di più. E pregare senza stancarci. A me fa tanto bene leggere quel brano della Scrittura, in cui Anna – la mamma di Samuele – pregava e chiedeva un figlio. Pregava e muoveva le labbra, e pregava… E il vecchio sacerdote, che era un po’ cieco e che non vedeva bene, pensava che fosse ubriaca. Ma il cuore di quella donna [diceva a Dio]: “Voglio un figlio!”. Io domando a voi: il vostro cuore, davanti a questo calo delle vocazioni, prega con questa intensità? “La nostra Congregazione ha bisogno di figli, la nostra Congregazione ha bisogno di figlie…”. Il Signore che è stato tanto generoso non mancherà la sua promessa. Ma dobbiamo chiederlo. Dobbiamo bussare alla porta del suo cuore. Perché c’è un pericolo - e questo è brutto, ma devo dirlo -: quando una Congregazione religiosa vede che non ha figli e nipoti ed incomincia ad essere sempre più piccola, si attacca ai soldi. E voi sapete che i soldi sono lo sterco del diavolo. Quando non possono avere la grazia di avere vocazioni e figli, pensano che i soldi salveranno la vita; e pensano alla vecchiaia: che non manchi questo, che non manchi quest’altro… E così non c’è speranza! La speranza è solo nel Signore! I soldi non te la daranno mai. Al contrario: ti butteranno giù! Capito?.

Questo volevo dirvi, invece di leggere le pagelle che il Cardinale Prefetto vi darà dopo…

E vi ringrazio tanto per quello che fate. I consacrati – ognuno col suo carisma. E voglio sottolineare le consacrate, le suore. Cosa sarebbe la Chiesa se non ci fossero le suore? Questo l’ho detto una volta: quando tu vai in ospedale, nei collegi, nelle parrocchie, nei quartieri, nelle missioni, uomini e donne che hanno dato la loro vita… Nell’ultimo viaggio in Africa – questo l’ho raccontato, credo, in una udienza – ho trovato una suora di 83 anni, italiana. Lei mi ha detto: “E’ da quando avevo - non ricordo se mi ha detto 23 o 26 anni - che sono qui. Sono infermiera in un ospedale”. Pensiamo: dai 26 anni fino agli 83! “E ho scritto ai miei in Italia che non tornerò più”. Quando tu vai in un cimitero e vedi che ci sono tanti missionari religiosi morti e tante suore morte a 40 anni perché hanno preso le malattie, queste febbri di quei Paesi, hanno bruciato la vita… Tu dici: questi sono santi! Questi sono semi! Dobbiamo dire al Signore che scenda un po’ su questi cimiteri e veda cosa hanno fatto i nostri antenati e ci dia più vocazioni, perché ne abbiamo bisogno!

Vi ringrazio tanto per questa visita, ringrazio il Cardinale Prefetto, Monsignor Segretario, i Sottosegretari per quello che avete fatto in questo Anno della Vita Consacrata. Ma, per favore, non dimenticare la profezia dell’obbedienza, la vicinanza, il prossimo più importante, il prossimo più prossimo è il fratello e la sorella di comunità, e poi la speranza. Che il Signore faccia nascere figli e figlie nelle vostre Congregazioni. E pregate per me. Grazie!

martedì 5 gennaio 2016

Le vocazioni, testimonianza della verità



Cari fratelli e sorelle!
1. Il Vangelo racconta che «Gesù percorreva tutte le città e i villaggi … Vedendo le folle, ne sentì compassione, perché erano stanche e sfinite come pecore che non hanno pastore. Allora disse ai suoi discepoli: “La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate dunque il Signore della messe, perché mandi operai nella sua messe”» (Mt 9,35-38). Queste parole ci sorprendono, perché tutti sappiamo che occorre prima arare, seminare e coltivare per poter poi, a tempo debito, mietere una messe abbondante. Gesù afferma invece che «la messe è abbondante». Ma chi ha lavorato perché il risultato fosse tale? La risposta è una sola: Dio. Evidentemente il campo di cui parla Gesù è l’umanità, siamo noi. E l’azione efficace che è causa del «molto frutto» è la grazia di Dio, la comunione con Lui (cfr Gv 15,5). La preghiera che Gesù chiede alla Chiesa, dunque, riguarda la richiesta di accrescere il numero di coloro che sono al servizio del suo Regno. San Paolo, che è stato uno di questi “collaboratori di Dio”, instancabilmente si è prodigato per la causa del Vangelo e della Chiesa. Con la consapevolezza di chi ha sperimentato personalmente quanto la volontà salvifica di Dio sia imperscrutabile e l’iniziativa della grazia sia l’origine di ogni vocazione, l’Apostolo ricorda ai cristiani di Corinto: «Voi siete campo di Dio» (1 Cor 3,9). Pertanto sorge dentro il nostro cuore prima lo stupore per una messe abbondante che Dio solo può elargire; poi la gratitudine per un amore che sempre ci previene; infine l’adorazione per l’opera da Lui compiuta, che richiede la nostra libera adesione ad agire con Lui e per Lui.
2. Tante volte abbiamo pregato con le parole del Salmista: «Egli ci ha fatti e noi siamo suoi, suo popolo e gregge del suo pascolo» (Sal 100,3); o anche: «Il Signore si è scelto Giacobbe, Israele come sua proprietà» (Sal 135,4). Ebbene, noi siamo “proprietà” di Dio non nel senso del possesso che rende schiavi, ma di un legame forte che ci unisce a Dio e tra noi, secondo un patto di alleanza che rimane in eterno «perché il suo amore è per sempre» (Sal 136). Nel racconto della vocazione del profeta Geremia, ad esempio, Dio ricorda che Egli veglia continuamente su ciascuno affinché si realizzi la sua Parola in noi. L’immagine adottata è quella del ramo di mandorlo che primo fra tutti fiorisce, annunziando la rinascita della vita in primavera (cfr Ger 1,11-12). Tutto proviene da Lui ed è suo dono: il mondo, la vita, la morte, il presente, il futuro, ma – rassicura l’Apostolo – «voi siete di Cristo e Cristo è di Dio» (1 Cor3,23). Ecco spiegata la modalità di appartenenza a Dio: attraverso il rapporto unico e personale con Gesù, che il Battesimo ci ha conferito sin dall’inizio della nostra rinascita a vita nuova. È Cristo, dunque, che continuamente ci interpella con la sua Parola affinché poniamo fiducia in Lui, amandolo «con tutto il cuore, con tutta l’intelligenza e con tutta la forza» (Mc 12,33). Perciò ogni vocazione, pur nella pluralità delle strade, richiede sempre un esodo da se stessi per centrare la propria esistenza su Cristo e sul suo Vangelo. Sia nella vita coniugale, sia nelle forme di consacrazione religiosa, sia nella vita sacerdotale, occorre superare i modi di pensare e di agire non conformi alla volontà di Dio. E’ un «esodo che ci porta a un cammino di adorazione del Signore di servizio a Lui nei fratelli e nelle sorelle» (Discorso all’Unione Internazionale delle Superiore Generali, 8 maggio 2013). Perciò siamo tutti chiamati ad adorare Cristo nei nostri cuori (cfr 1 Pt 3,15) per lasciarci raggiungere dall'impulso della grazia contenuto nel seme della Parola, che deve crescere in noi e trasformarsi in servizio concreto al prossimo. Non dobbiamo avere paura: Dio segue con passione e perizia l’opera uscita dalle sue mani, in ogni stagione della vita. Non ci abbandona mai! Ha a cuore la realizzazione del suo progetto su di noi e, tuttavia, intende conseguirlo con il nostro assenso e la nostra collaborazione.
3. Anche oggi Gesù vive e cammina nelle nostre realtà della vita ordinaria per accostarsi a tutti, a cominciare dagli ultimi, e guarirci dalle nostre infermità e malattie. Mi rivolgo ora a coloro che sono ben disposti a mettersi in ascolto della voce di Cristo che risuona nella Chiesa, per comprendere quale sia la propria vocazione. Vi invito ad ascoltare e seguire Gesù, a lasciarvi trasformare interiormente dalle sue parole che «sono spirito e sono vita» (Gv 6,62). Maria, Madre di Gesù e nostra, ripete anche a noi: «Qualsiasi cosa vi dica, fatela!» (Gv 2,5). Vi farà bene partecipare con fiducia ad un cammino comunitario che sappia sprigionare in voi e attorno a voi le energie migliori. La vocazione è un frutto che matura nel campo ben coltivato dell’amore reciproco che si fa servizio vicendevole, nel contesto di un’autentica vita ecclesiale. Nessuna vocazione nasce da sé o vive per se stessa. La vocazione scaturisce dal cuore di Dio e germoglia nella terra buona del popolo fedele, nell’esperienza dell’amore fraterno. Non ha forse detto Gesù: «Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri» (Gv 13,35)?
4. Cari fratelli e sorelle, vivere questa «misura alta della vita cristiana ordinaria» (cfr Giovanni Paolo II, Lett. ap. Novo millennio ineunte, 31), significa talvolta andare controcorrente e comporta incontrare anche ostacoli, fuori di noi e dentro di noi. Gesù stesso ci avverte: il buon seme della Parola di Dio spesso viene rubato dal Maligno, bloccato dalle tribolazioni, soffocato da preoccupazioni e seduzioni mondane (cfr Mt 13,19-22). Tutte queste difficoltà potrebbero scoraggiarci, facendoci ripiegare su vie apparentemente più comode. Ma la vera gioia dei chiamati consiste nel credere e sperimentare che Lui, il Signore, è fedele, e con Lui possiamo camminare, essere discepoli e testimoni dell’amore di Dio, aprire il cuore a grandi ideali, a cose grandi. «Noi cristiani non siamo scelti dal Signore per cosine piccole, andate sempre al di là, verso le cose grandi. Giocate la vita per grandi ideali!» (Omelia nella Messa per i cresimandi, 28 aprile 2013). A voi Vescovi, sacerdoti, religiosi, comunità e famiglie cristiane chiedo di orientare la pastorale vocazionale in questa direzione, accompagnando i giovani su percorsi di santità che, essendo personali, «esigono una vera e propriapedagogia della santità, che sia capace di adattarsi ai ritmi delle singole persone. Essa dovrà integrare le ricchezze della proposta rivolta a tutti con le forme tradizionali di aiuto personale e di gruppo e con forme più recenti offerte nelle associazioni e nei movimenti riconosciuti dalla Chiesa» (Giovanni Paolo II, Lett. ap. Novo millennio ineunte, 31).
Disponiamo dunque il nostro cuore ad essere “terreno buono” per ascoltare, accogliere e vivere la Parola e portare così frutto. Quanto più sapremo unirci a Gesù con la preghiera, la Sacra Scrittura, l’Eucaristia, i Sacramenti celebrati e vissuti nella Chiesa, con la fraternità vissuta, tanto più crescerà in noi la gioia di collaborare con Dio al servizio del Regno di misericordia e di verità, di giustizia e di pace. E il raccolto sarà abbondante, proporzionato alla grazia che con docilità avremo saputo accogliere in noi. Con questo auspicio, e chiedendovi di pregare per me, imparto di cuore a tutti la mia Apostolica Benedizione.

Dal Vaticano, 15 gennaio 2014

FRANCESCO

(Messaggio del Santo Padre Francesco per la 51a Giornata Mondiale di preghiera per le vocazioni - 11 maggio 2014 - IV Domenica di Pasqua)

mercoledì 30 dicembre 2015

LA CHIESA MADRE DI VOCAZIONI: Messaggio di Papa Francesco per la 53.ma Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni che si celebrerà il 17 aprile 2016.



Cari fratelli e sorelle, come vorrei che, nel corso del Giubileo Straordinario della Misericordia, tutti i battezzati potessero sperimentare la gioia di appartenere alla Chiesa! E potessero riscoprire che la vocazione cristiana, così come le vocazioni particolari, nascono in seno al popolo di Dio e sono doni della divina misericordia. La Chiesa è la casa della misericordia, ed è la “terra” dove la vocazione germoglia, cresce e porta frutto.
Per questo motivo invito tutti voi, in occasione di questa 53ª Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni, a contemplare la comunità apostolica, e a ringraziare per il ruolo della comunità nel cammino vocazionale di ciascuno. Nella Bolla di indizione del Giubileo Straordinario della Misericordia ho ricordato le parole di san Beda il Venerabile, riferite alla vocazione di san Matteo: «Miserando atque eligendo» (Misericordiae Vultus, 8). L’azione misericordiosa del Signore perdona i nostri peccati e ci apre alla vita nuova che si concretizza nella chiamata alla sequela e alla missione. Ogni vocazione nella Chiesa ha la sua origine nello sguardo compassionevole di Gesù. La conversione e la vocazione sono come due facce della stessa medaglia e si richiamano continuamente in tutta la vita del discepolo missionario.
Il beato Paolo VI, nell’Esortazione apostolica Evangelii nuntiandi, ha descritto i passi del processo dell’evangelizzazione. Uno di essi è l’adesione alla comunità cristiana (cfr n. 23), quella comunità da cui ha ricevuto la testimonianza della fede e la proclamazione esplicita della misericordia del Signore. Questa incorporazione comunitaria comprende tutta la ricchezza della vita ecclesiale, particolarmente i Sacramenti. E la Chiesa non è solo un luogo in cui si crede, ma è anche oggetto della nostra fede; per questo nel Credo diciamo: «Credo la Chiesa».
La chiamata di Dio avviene attraverso la mediazione comunitaria. Dio ci chiama a far parte della Chiesa e, dopo una certa maturazione in essa, ci dona una vocazione specifica. Il cammino vocazionale si fa insieme ai fratelli e alle sorelle che il Signore ci dona: è una con-vocazione. Il dinamismo ecclesiale della chiamata è un antidoto all’indifferenza e all’individualismo. Stabilisce quella comunione nella quale l’indifferenza è stata vinta dall’amore, perché esige che noi usciamo da noi stessi ponendo la nostra esistenza al servizio del disegno di Dio e facendo nostra la situazione storica del suo popolo santo.
In questa Giornata, dedicata alla preghiera per le vocazioni, desidero esortare tutti i fedeli ad assumersi le loro responsabilità nella cura e nel discernimento vocazionale. Quando gli apostoli cercavano uno che prendesse il posto di Giuda Iscariota, san Pietro radunò centoventi fratelli (cfr At 1,15); e per la scelta dei sette diaconi, fu convocato il gruppo dei discepoli (cfr At 6,2). San Paolo dà a Tito criteri specifici per la scelta dei presbiteri (Tt 1,5-9). Anche oggi, la comunità cristiana è sempre presente nel germogliare delle vocazioni, nella loro formazione e nella loro perseveranza (cfr Esort. ap. Evangelii gaudium, 107).
La vocazione nasce nella Chiesa. Fin dal sorgere di una vocazione è necessario un adeguato “senso” della Chiesa. Nessuno è chiamato esclusivamente per una determinata regione, né per un gruppo o movimento ecclesiale, ma per la Chiesa e per il mondo. «Un chiaro segno dell’autenticità di un carisma è la sua ecclesialità, la sua capacità di integrarsi armonicamente nella vita del Popolo santo di Dio per il bene di tutti» (ibid.,130). Rispondendo alla chiamata di Dio, il giovane vede espandersi il proprio orizzonte ecclesiale, può considerare i molteplici carismi e compiere così un discernimento più obiettivo. La comunità diventa, in questo modo, la casa e la famiglia dove nasce la vocazione. Il candidato contempla grato questa mediazione comunitaria come elemento irrinunciabile per il suo futuro. Impara a conoscere e amare fratelli e sorelle che percorrono cammini diversi dal suo; e questi vincoli rafforzano in tutti la comunione.
La vocazione cresce nella Chiesa. Durante il processo di formazione, i candidati alle diverse vocazioni hanno bisogno di conoscere sempre meglio la comunità ecclesiale, superando la visione limitata che tutti abbiamo all’inizio. A tale scopo è opportuno fare qualche esperienza apostolica insieme ad altri membri della comunità, per esempio: accanto ad un buon catechista comunicare il messaggio cristiano; sperimentare l’evangelizzazione delle periferie insieme ad una comunità religiosa; scoprire il tesoro della contemplazione condividendo la vita di clausura; conoscere meglio la missione ad gentes a contatto con i missionari; e con i preti diocesani approfondire l’esperienza della pastorale nella parrocchia e nella diocesi. Per quelli che sono già in formazione, la comunità ecclesiale rimane sempre l’ambito educativo fondamentale, verso cui si sente gratitudine.

La vocazione è sostenuta dalla Chiesa. Dopo l’impegno definitivo, il cammino vocazionale nella Chiesa non finisce, ma continua nella disponibilità al servizio, nella perseveranza, nella formazione permanente. Chi ha consacrato la propria vita al Signore è disposto a servire la Chiesa dove essa ne abbia bisogno. La missione di Paolo e Barnaba è un esempio di questa disponibilità ecclesiale. Inviati in missione dallo Spirito Santo e dalla comunità di Antiochia (cfr At13,1-4), ritornarono alla stessa comunità e raccontarono quello che il Signore aveva fatto per mezzo loro (cfr At 14,27). I missionari sono accompagnati e sostenuti dalla comunità cristiana, che rimane un riferimento vitale, come la patria visibile che offre sicurezza a quelli che compiono il pellegrinaggio verso la vita eterna.
Tra gli operatori pastorali rivestono una particolare importanza  i sacerdoti. Mediante il loro ministero si fa presente la parola di Gesù, che ha detto: «Io sono la porta delle pecore […] Io sono il buon pastore» (Gv 10,7.11). La cura pastorale delle vocazioni è una parte fondamentale del loro ministero pastorale. I sacerdoti accompagnano coloro che sono alla ricerca della propria vocazione, come pure quanti già hanno offerto la vita al servizio di Dio e della comunità.
Tutti i fedeli sono chiamati a rendersi consapevoli del dinamismo ecclesiale della vocazione, perché le comunità di fede possano diventare, sull’esempio della Vergine Maria, seno materno che accoglie il dono dello Spirito Santo (cfr Lc 1,35-38). La maternità della Chiesa si esprime mediante la preghiera perseverante per le vocazioni e con l’azione educativa e di accompagnamento per quanti percepiscono la chiamata di Dio. Lo fa anche mediante un’accurata selezione dei candidati al ministero ordinato e alla vita consacrata. Infine, è madre delle vocazioni nel continuo sostegno di coloro che hanno consacrato la vita al servizio degli altri.
Chiediamo al Signore di concedere a tutte le persone che stanno compiendo un cammino vocazionale una profonda adesione alla Chiesa; e che lo Spirito Santo rafforzi nei Pastori e in tutti i fedeli la comunione, il discernimento e la paternità e maternità spirituale.
Padre di misericordia, che hai donato il tuo Figlio per la nostra salvezza e sempre ci sostieni con i doni del tuo Spirito, concedici comunità cristiane vive, ferventi e gioiose, che siano fonti di vita fraterna e suscitino fra i giovani il desiderio di consacrarsi a Te e all’evangelizzazione. Sostienile nel loro impegno di proporre una adeguata catechesi vocazionale e cammini di speciale consacrazione. Dona sapienza per il necessario discernimento vocazionale, così che in tutto risplenda la grandezza del tuo amore misericordioso. Maria, Madre ed educatrice di Gesù, interceda per ogni comunità cristiana, affinché, resa feconda dallo Spirito Santo, sia fonte di genuine vocazioni al servizio del popolo santo di Dio.




domenica 13 dicembre 2015

L'AMORE INCARNATO NEL CUORE DI MARIA


Chi è chiamato a seguire Gesù più da vicino deve mettere al centro del proprio cuore la Parola di Dio, proprio come ha fatto la Vergine Maria nostra Madre che custodiva ogni cosa meditandola nel Suo Cuore. Ella è la donna che ha saputo “riconoscere le orme dello Spirito di Dio nei grandi avvenimenti ed anche in quelli che sembrano impercettibili”. (Benedetto XVI) Così Maria “metteva insieme” la Parola e gli avvenimenti come sublime esempio di Vergine saggia, e prima di concepire nel Suo grembo, Ella concepì nel Suo Cuore il Verbo.
Ogni consacrato è chiamato ad essere particolarmente “tempio di Dio” attraverso “l'ascolto”, perchè Cristo possa plasmare il cuore di lui in quell'intimo rapporto d'amore che lo conduce alla docilità e alla sapienza.
La Parola non va solo ascoltata, ma va accolta con sincerità nell'amore, quell'amore autentico che fa essere vigilanti anche alle necessità dei fratelli. Così l'occhio attento della Vergine alle nozze di Cana quando disse a Gesù: “Non hanno più vino”(Gv 2,3), ci insegna che ascoltare è mettere in pratica in modo vitale la Parola. Gesù stesso ci dice che essa deve essere praticata in modo responsabile, autentico. Il Signore vuole che il cammino spirituale sia edificato sulla roccia.
Il Vangelo quindi non può essere solo oggetto di studio, ma piuttosto è l'amore lo “studio” attento che ci traina in alto. Gesù ci insegna quale altezza dobbiamo raggiungere: “... Allora tutte quelle vergini si destarono e prepararono le loro lampade. E le stolte dissero alle sagge: Dateci del vostro olio, perché le nostre lampade si spengono.Ma le sagge risposero: No, che non abbia a mancare per noi e per voi; andate piuttosto dai venditori e compratevene.Ora, mentre quelle andavano per comprare l'olio, arrivò lo sposo e le vergini che erano pronte entrarono con lui alle nozze, e la porta fu chiusa”. (Mt 25,7-11)
L'olio di cui si parla è quell'essere “desti alla voce di Dio che parla, che apre, che conduce, che ci invita ad andare verso l'orizzonte”. E' quel far frutto di ogni situazione e scrutarla con gli stessi occhi di Dio. Soltanto l’ascolto, la pratica e la custodia della Parola creano frutti attraverso i quali ogni persona che vede il consacrato vede in Lui lo stesso Gesù.
Maria è la Vergine in ascolto che accoglie, pratica e custodisce la Parola nello Spirito incarnandola in Lei: Ella è il terreno buono capace di dare frutto abbondante. E nel terreno del Suo Cuore Immacolato ha concepito Gesù, l'ha fatto crescere, l'ha custodito con amore immenso, come perla preziosa... il loro legame non era quindi solo nella carne, ma si caratterizzava essenzialmente nel cuore e nello spirito, uno lo specchio dell'altra. Questo è l'amore che Gesù vuole per ogni Sua sposa, per ogni Suo intimo.
Ciò vale anche nel legame d'amore umano, se non è incarnato non può essere vero. Una mamma può forse amare il suo bambino solo nel pensiero? Incarnando l'amore lo nutre e gli dà vita. La donna consacrata più che mai è chiamata ad incarnare l'amore avendo questa vocazione materna in modo innato.
Quella metà del suo cuore che Dio non ha riservato a creatura, ma solo per Lui, deve essere colmata unicamente da Lui e attraverso di Lui giungere alla donazione di sé. La vera donazione ce la insegna in modo incomparabile Maria sotto la Croce: ha amato fino a donare il Suo stesso Figlio.
Anche Santa Teresa di Gesù Bambino ci dà esempio dell'amore incarnato come ci ricorda il Papa emerito Benedetto XVI: “Anche noi con santa Teresa di Gesù Bambino dovremmo poter ripetere ogni giorno al Signore che vogliamo vivere di amore a Lui e agli altri, imparare alla scuola dei santi ad amare in modo autentico e totale. Teresa è uno dei “piccoli” del Vangelo che si lasciano condurre da Dio nelle profondità del suo Mistero. Una guida per tutti, soprattutto per coloro che, nel Popolo di Dio, svolgono il ministero di teologi. Con l'umiltà e la carità, la fede e la speranza, Teresa entra continuamente nel cuore della Sacra Scrittura che racchiude il Mistero di Cristo. E tale lettura della Bibbia, nutrita dalla scienza dell’amore, non si oppone alla scienza accademica. La scienza dei santi, infatti, di cui lei stessa parla nell'ultima pagina della Storia di un'anima, è la scienza più alta"Tutti i santi l'hanno capito e in modo più particolare forse quelli che riempirono l'universo con l'irradiazione della dottrina evangelica. Non è forse dall'orazione che i Santi Paolo, Agostino, Giovanni della Croce, Tommaso d'Aquino, Francesco, Domenico e tanti altri illustri Amici di Dio hanno attinto questa scienza divina che affascina i geni più grandi?" (Ms C, 36r). Inseparabile dal Vangelo, l'Eucaristia è per Teresa il Sacramento dell'Amore Divino che si abbassa all'estremo per innalzarci fino a Lui”.

Commento alla Lettera “Scrutate”, indirizzata dalla Congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica ai consacrati e alle consacrate, Libreria Editrice Vaticana, 2014





sabato 21 novembre 2015

LA VOCAZIONE ALLA VITA CONTEMPLATIVA: ELIA PROFETA MODELLO DI CONSACRAZIONE

Elia salì sulla cima del Carmelo; gettatosi a terra, pose la sua faccia tra le ginocchia…
«Ecco, una nuvola, piccola come una mano d’uomo, sale dal mare»

(1Re, 18,44)

Elia profeta può essere considerato da noi carmelitane modello di consacrazione a Dio, perchè egli desidera testimoniare che l'unico amore della sua Vita è il Signore.
L'itinerario esistenziale di Elia appare come il percorso che ogni consacrato/a può seguire per la donazione di sé al Signore Dio e ai fratelli.
Tale cammino eliano, già “figura” anticotestamentaria della sequela Christi che caratterizzerà i discepoli di Gesù, si avvia dopo l'incontro con una “Parola di Attrazione” all'Amore esclusivo di Dio, una Parola profetica che dice tutto di sé alla creatura, donandole vita e invitandola a diventare ella stessa Parola da donare agli altri.
Infatti, Elia vive le esperienze dell'annuncio di Dio e della denuncia contro l'ingiustizia e l'immoralità diffusa nel popolo fino a scontrarsi vittoriosamente con i profeti di Baal, costruttori ed adoratori di idoli sul monte Carmelo e falsi profeti corrotti del suo tempo.
L'amore che spinge Elia a combattere la regina “idolatrica” Gezabele è quell'Amore audace che vuole servire con tutta la passione umana di forza e volontà, perchè esclusivo, unico, non intaccato da altri “amori minori ed artificiali”, da amori apparenti, “di plastica”, ma è un rapporto amoroso ravvivato da un fuoco interiore dello Spirito che lo rende solidale con il Signore e con tutti coloro che lottano quotidianamente per vivere dignitosamente e onestamente al cospetto del Dio Vivente.
Tuttavia, in queste esperienze di esaltanti e trionfanti battaglie Elia non conosce veramente il volto di Dio; lo conoscerà ed amerà veramente solo dopo averlo incontrato nel silenzio spirituale del suo cuore sul monte Horeb.
Infatti, l'amore che nasce dal cuore di Elia profeta come quello che ogni consacrato sente di aver ricevuto nel Battesimo fin dalla coscientizzazione della propria vocazione a seguire il Figlio di Dio è necessario passi attraverso stadi di verifica e prova delle motivazioni che spingono ad un amore soprannaturale così inconoscibile, ma irresistibile.
Sembra necessario imparare o reimparare ad amare, perchè amare Dio non è come amare una creatura. La sproporzione tra i due “amanti” rende necessario un percorso di crescita dell'uomo che si innalza a Dio solo dopo che Dio si è “abbassato”, cioè sacrificato per lui al fine riempirlo del Suo Amore vitale, rendendolo consapevole di essere stato salvato.
L'uomo senza Dio non è capace di amare, nè se stesso, nè gli altri; può scambiare l'amore con l'esperienza di piaceri sensibili e suggestivi sempre temporanei e passeggeri, tanto tangibili e capaci di motivare pensieri, parole e azioni per soddisfare la ricerca del benessere proprio, ma non è in grado di aprirsi alla Rivelazione di un amore che è più grande delle proprie percezioni e dei propri sentimenti naturali.
Il profeta Elia ha vissuto l'intensità dell'isolamento penitente presso il torrrente Chérit in uno sforzo di ascesi che lo ha convinto di essere “forte” dopo le minacce espresse contro il re Acab, ha alimentato il proprio fervore per le vittorie contro i profeti di Baal, ha usato tutta la “propria forza” nel sostenere i più deboli come la Vedova di Sarepta, ma di fronte alla minaccia per la propria vita manifestata dalla regina Gezabele crolla in un'esperienza nuova e misteriosa, quella della propria debolezza.
Elia profeta ha paura, non comprende perchè prova sentimenti di terrore e paura di fronte ad una minaccia così ovvia, tanto più dopo una vittoria eclatante come quella conseguita sul Monte Carmelo, che a suo avviso avrebbe dovuto guidare alla conversione tutto il popolo.
E invece Elia è deluso e spaventato, il suo modo di servire il Dio Unico, i suoi atteggiamenti, le sue scelte, le sue parole non sono state pienamente ascoltate dal popolo e così egli entra nell'esperienza del fallimento personale e dell'incomprensibilità di quanto prova e vive.
Elia sceglie di “fuggire” verso le proprie origini, verso le origini del popolo che Dio ha eletto e prediletto, verso il Monte Horeb dove Dio ha parlato a Mosè nel roveto ardente.
Egli intraprende un cammino in una direzione di fuga che il Signore non gli ha indicato o comandato, i suoi passi si fanno via via pesanti, scoraggiato e quasi disperato chiede di morire perchè non si sente migliore dei suoi padri, di coloro che gli hanno dato la vita e insegnato a viverla.
Il Signore Dio accetta di affiancare Elia nel suo cammino di fuga da se stesso, dalla verità di sé, per reincontrarlo quando si riaprirà all'ascolto della Parola che solo il silenzio può far risuonare nel suo cuore e nella suo mente come lieve soffio di Spirito.
Dio lo accompagna passo passo esortandolo a mangiare, ad alimentarsi per vivere, lo sprona a non lasciarsi morire e schiacciare dallo scoraggiamento della delusione fino al Monte Horeb. Lì il profeta “fallito” non si apre subito alla gioia per l'arrivo alla mèta desiderata, ma vive un ulteriore ripiegamento su di sé, quello di rifugiarsi nella caverna e si chiude a Dio, a sé e agli altri.
Ecco l'intervento diretto di Dio con la Sua Parola: “Che fai qui Elia?”...sì Dio si rivolge direttamente a Lui per chiedergli i motivi per cui fugge, che cosa sta provando nel suo cuore, che cosa lo agita e lo sconvolge tanto da allontanarsi dal popolo e in sostanza da Dio stesso.
Elia si apre, si confida e risponde: «Sono pieno di zelo per il Signore degli eserciti, poiché gli Israeliti hanno abbandonato la tua alleanza, hanno demolito i tuoi altari, hanno ucciso di spada i tuoi profeti. Sono rimasto solo ed essi tentano di togliermi la vita».
Nella confidenza di Elia a Dio si trovano tutti i sentimenti che possono animare il cuore del consacrato che è chiamato a reimparare a “sentire”, a dare un nome ai propri sentimenti per riorientrali verso Dio.
Elia ha sentimenti di amore zelante verso Dio, ma è scontento e deluso che gli israeliti non lo abbiano ascoltato, quindi appare più deluso del suo insuccesso che dell'effettivo stato spirituale dei fratelli, verso i quali rimane giustamente indignato per i gravi delitti di profanazione e violenza, ma non vede oltre se stesso e la propria persona, ritenendosi l'unico profeta esistente e per lo più impaurito per la propria vita, così ardentemente donata fino a poco tempo prima in difesa della purezza della fede.
Nella tempesta di questi sentimenti contraddittori e confusi Elia avvia un processo di liberazione da quell'autocentrismo che gli ha impedito di vedere e apprezzare la fedeltà degli altri piccoli gruppi profetici che lottavano per il Dio Unico.
L'intensità dei sentimenti di Elia si va gradualmente trasformando e maturando verso una nuova visione di Dio: nel silenzio delle proprie assordanti convinzioni ed ostinazioni scorge un nuovo modo di leggere la presenza di Dio nella sua vita e nel modo di servirlo.
Da quel momento Elia potrà riapprezzare il valore dei piccoli segni, dei piccoli gesti profetici ed al contempo “miracolosi” agli occhi di Dio.
Ecco la “crisi sanante” di Elia quale modello per il consacrato che accetta di passare attraverso la “notte oscura” del proprio fallimento umano per essere ricreato “sposo e amato” da Dio per servirlo con “piccoli mezzi”, con strumenti umanamente depotenziati, ma divinamente sostenuti da Colui che accompagna il proprio amico e servitore.
Ricordiamo il valore salvifico dei “pezzi di pane e carne” portati ad Elia dai corvi per vivere il nascondimento della contemplazione, del “pugno di farina e del poco olio” che ha salvato la vita della Vedova di Sarepta e del figlio ormai destinati a morire sotto il peso della carestia, il “poco pane e l'acqua” ricevuti nel deserto in cammino verso l'Horeb schiacciato dalla disperazione, la “piccola nuvoletta” che sale dal mare dopo le sette scalate del ragazzo sulla vetta per conto del suo padre spirituale, come una mano di uomo che si tende all'umanità perchè torni a credere e sperare in Dio: questo è quanto noi carmelitane possiamo evidenziare e promuovere quale stile di vita consacrata con l'aiuto e protezione della Beata Vergine Maria raffigurata dalla tradizione carmelitana proprio nella “nube che sale dal mare”.
La lettura dei segni nascosti della presenza di Dio nelle nostre giornate può aiutarci come consacrati a vivere gioiosamente la fraternità, come mosaico armonioso delle differenze umane e spirituali donate da Dio quali piccoli tasselli che di per sé soli sarebbero scartati, ma che nell'insieme della composizione mostrano la forza della propria “forma e colore” scolpiti e dipinti dal Creatore.
Appare necessario saper riconoscere il bene dai piccoli gesti e segni verso i propri fratelli, perchè essi rappresentano la prima “opera di mediazione” che apre la porta dell'accoglienza, come una chiave che è sì tanto piccola rispetto alla porta che può aprirsi, ma che è la sola ad avere la capacità di far “scorrere gli ingranaggi” della solidarietà e della generosità.
Per noi carmelitane luogo privilegiato di apprendimento di tale piccolezza è quello della preghiera, luogo ove sperimenti costantemente il mistero della piccolezza creaturale di fronte all'immensità di un Dio che dialoga con la creatura attraverso la Parola, i Sacramenti, la fraternità, la comunità, per essere sempre aperte e tese verso un'orizzonte ampio, ma non pienamente tracciabile, disposte ad allargare il cuore all'Inconoscibile, ma certe della presenza di Gesù fra noi e in noi.



(Commento alla Lettera “Scrutate”, indirizzata dalla Congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica ai consacrati e alle consacrate, Libreria Editrice Vaticana, 2014, pp. 37-47)



mercoledì 14 ottobre 2015

OGNI VOCAZIONE PORTA IN SE' L'ESIGENZA DELL'AMORE: una riflessione al termine del V centenario dalla nascita di S. Teresa D'Avila.



La parola “amore” non indica solo i sentimenti, ma la profondità autentica che ci trascende. Così è descritto l'amore vero nell'Imitazione di Cristo: “ Chi ama vola, corre in letizia, è libero e da nulla è trattenuto. Dà ogni cosa per il Tutto e possiede il Tutto in ogni essere creato, perchè trova la sua pace in quell'unico essere supremo, dal quale sgorga e procede tutto ciò che è buono. L'amore spesso non conosce misura, ma brucia oltre ogni misura. All'amore niente pesa; esso non tiene conto delle fatiche; anela a fare più di quanto gli permettono le forze, non porta mai la scusa dell'impossibilità... chi ama intende bene il significato di questo linguaggio... L'amore non cerca mai se stesso. Quando infatti uno cerca se stesso, allora cessa di amare”. (Imitazione di Cristo, Libro III, cap. V)
La piccola Teresa di Lisieux comprese bene il significato vero dell'amore e per esso diede tutta se stessa; solo l'amore era la sua unica ambizione: “Le grate del Carmelo non sono fatte per separare i cuori che si amano in Gesù, servono piuttosto a rendere più forti i vincoli che li uniscono”.
Che mistero si cela dietro queste grate che rendono i cuori più uniti in Gesù? La monaca carmelitana è chiamata essenzialmente ad una vita d'amore vivendo all' interno di queste “grate” una vita di intima unione con Dio. Ma l'unione con Dio, come sappiamo, non può essere astrazione dalla realtà, perchè Dio essendo Amore a sua volta conduce tutti coloro che lo amano all'amore verso ed autentico. L'amore quindi è una chiamata universale, ma che trova giusta intensità e diffusione in chi è chiamato a vivere una vita di intima unione con Lui. L'anima che conduce una vita contemplativa percorre un cammino di interiorità verso la “cella” più interna del suo essere, dove risiede Dio. Questo è il percorso fatto da molti santi, i quali all'interno dei propri monasteri, si sono “nascosti con Cristo in Dio”, lottando con se stessi dure battaglie, senza perdere di vista l'esigenza dell'amore. Santa Teresa d'Avila, maestra di questo meraviglioso cammino interiore è di esempio testimoniando con la sua vita il “compito” del monastero... Ella parla della vita di ogni singolo membro come quella di un baco da seta. Ma possiamo immaginare pure il monastero come un grande bozzolo nel quale camminano persone chiamate allo stesso cammino. Nei bozzoli i bachi si rinchiudono per morirvi e dallo stesso bozzolo viene fuori una farfalla bianca. Per Teresa il baco non è altro che l'anima la quale comincia ad avere vita solo quando è scaldata dal fuoco dello Spirito Santo. L'anima può scaldarsi solo quando comincia a mettere da parte il suo amor proprio, grande ostacolo al vero amore con tutto ciò che ne segue... Questo vuol dire essere sposa di Cristo: nascondersi in Lui, fondersi con Lui per essere una sola carne e dire con S. Paolo: “Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me”. In questo il monastero è quel luogo dove si può attuare questo continuo lavorìo interiore alternando la preghiera all'opera e l'opera alla preghiera. La fede senza l'opera è morta in se stessa. La Madre Ss.ma nostra Sorella nel Carmelo, non esitò dopo aver ricevuto l'annuncio dell'angelo ad “alzarsi ed andare in fretta verso la montagna”. Quando Dio opera grandi cose nell'anima nostra non si può rimanere inattivi poiché ogni Suo intervento d'amore nel nostro cuore diventa vita vera e feconda. S. Teresa raccomanda alle sue sorelle ed ancor oggi ad ogni monaca carmelitana: “E' per noi molto importante esaminare con grande attenzione come ci comportiamo a questo riguardo poiché, se osserviamo il precetto perfettamente, tutto è fatto. Credo che per la miseria della nostra natura, non arriveremo mai ad avere un perfetto amore del prossimo se non a condizione che nasca dalla radice dell'amor di Dio” (Castello Interiore, Quinte Mansioni, 3, 9). Ma l'anima non si rende conto di questa trasformazione, opera semplicemente perchè ama con tutta se stessa con spontaneità. Può forse una mamma gloriarsi dell'amore per la sua creatura? L'amore per il proprio bambino è spontaneo, naturale. Così è per la sposa di Cristo, amando Lui ella ama trasformandosi di giorno in giorno nello Sposo Divino. Tale trasformazione apre alla fecondità. Gesù stesso nel Vangelo ci dice: “Se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se muore invece, porta molto frutto”. (Gv 12, 24)
Essere morte al mondo non vuol dire quindi “distaccarsi dal mondo”, ma morire a quanto di “mondo” c'è nel proprio essere che conduce alla morte, perchè una vita priva d'amore è priva della vita stessa. Il Carmelo quindi, per la monaca, ha la funzione di un piccolo “bozzolo”. Lì “chiusa e nascosta” muore a se stessa per risorgere giorno dopo giorno trasformata di divina luce. Gesù ci dice che per Lui è fratello, sorella e madre, chi compie la volontà di Dio uniformandosi nell'amore con Lui. Questo è stato il tessuto di vita della Beata Vergine Maria, Sorella, Sposa e Madre perfetta di Gesù: Ha dato tutta se stessa svuotandosi di se stessa morendo con Lui fin sotto la Croce. Lì Ella ha mostrato il Suo amore per l'intera umanità poiché la certezza della redenzione le infondeva coraggio rimanendo salda e forte nella fede attendendo la risurrezione. E' divenuta nostra Madre, dono preziosissimo di Gesù, non solo perchè era la “Prescelta”; “l'Immacolata”, ma sopratutto perchè è stata “ Beata Colei che ha CREDUTO all'adempimento di ciò che il Signore le ha detto !”. (Lc 1, 45).


sabato 15 agosto 2015

CONSACRARE LA PROPRIA VITA A MARIA COME LA SI CONSACRA A DIO



l. Finora abbiamo visto come l'anima innamorata di Dio può anche vivere in Maria. Ora ci poniamo questa domanda: è conveniente e lecito vivere per Maria come è necessario vivere per Dio? Rispondo subito di sì. 2. L'anima che ama Dio, vive per Dio. Esercita e volge alla gloria del suo Signore tutte le proprie energie positive, la sua sensibilità e vitalità. Indirizza a Lui perfino le energie negative, le sue passioni e sofferenze. Mette al di sopra di ogni cosa la volontà di Dio e l'amore per Lui. 3. Allo stesso modo l'anima che si sforza di vivere per Maria tiene occupate, cioè impiega al servizio di Lei, le sue energie spirituali sia positive che negative; fa tutto per piacerle e per eseguire la sua volontà. Si pone al suo servizio perché la Mamma celeste riceva onore, amore e sia conosciuta; si attui infine il suo Regno in modo tale da introdurci e stabilirci nel Regno di suo Figlio Gesù. Come viviamo, agiamo, soffriamo e moriamo per Gesù, così pure viviamo, agiamo, soffriamo e moriamo per Maria. 4. Come Gesù ha il suo Regno in noi, così è opportuno che Maria regni nei nostri cuori, disponga così di ogni nostra azione e sofferenza secondo i suoi piani e i suoi desideri. Attraverso la nostra collaborazione, Maria deve poter esercitare la sua piena regalità in noi. Ne ha diritto in quanto "Regina del cielo e della terra" e "Regina dei giusti e di tutti i Santi". Maria non sarebbe Regina se non le competesse un qualche dominio e potere su di noi, se noi non fossimo tenuti ad organizzare la nostra vita secondo il suo volere e i suoi disegni finalizzandola alla sua gloria. 5. San Piertommaso, grande Santo dell'Ordine carmelitano, aveva eletto Maria Regina del suo cuore e con tale titolo La venerava. Ogni giorno Le consacrava le sue azioni: tutta la sua vita era offerta a Lei e portava scolpito nel cuore il suo santo Nome, quale segno della sua perfetta sovranità. San Gerardo mostrava pubblicamente di riconoscere la celeste Madre come sua Regina, recitando ogni giorno l'ufficio liturgico della gloriosa Assunzione di Maria al cielo. Ricordava così l'inizio 5 della Regalità di Maria in cielo e sulla terra. Ad un simile riconoscimento egli condusse anche Santo Stefano, re d'Ungheria, il quale consacrò il suo regno terreno a Maria e ordinò ai suoi sudditi di proclamarla Signora e Regina. Da questi esempi dobbiamo imparare a renderle onore con tutta la nostra vita. 6. Maria è la Madre di tutti gli eletti. È giusto, quindi, che Le manifestiamo il nostro filiale e tenero affetto in ciò che facciamo o in ciò che evitiamo di fare; nell'attività come nell'inoperosità, nel vivere come nel morire. È giusto che Ella, dopo Dio, sia il motivo di ogni nostro respiro, scelta e speranza; che Maria dia senso alla nostra vita. Convinciamoci fermamente di questo: sia che viviamo, viviamo per questa Madre e Regina; sia che moriamo, moriamo per questa Madre e Signora. Sia in vita che in morte noi siamo figli di Maria, Madre potente. Mi sembra di sentirla dire, rivolta a noi: "Anche se avete molte nutrici, non avete, però, molte madri. Io sola, infatti, vi ho generato in Cristo Gesù" (1Cor 4,15).

L'intero  testo della Vita Marieforme e mariana del Ven. Michele di S. Agostino si può leggere sul nostro sito www.carmelitane.org

domenica 9 agosto 2015

La vocazione religiosa secondo Edith Stein

IL POSTO DI CIASCUNO DI NOI DIPENDE UNICAMENTE DALLA NOSTRA VOCAZIONE. 

LA VOCAZIONE NON LA SI TROVA SEMPLICEMENTE DOPO AVER RIFLETTUTO ED ESAMINATO LE VARIE STRADE: E' UNA RISPOSTA CHE SI OTTIENE CON LA PREGHIERA.



Per la prima professione di suor Mirjam di S. Teresa di Gesù Bambino, 16 luglio 1940

«Induit nos, Genetrix Domini, vestimento salutis: et indumento justitiae circumdedit nos, alleluja». «La Madre del Signore ci rivestì della veste della salvezza: e ci avvolse con la veste della giustizia». Così preghiamo nella festa della Regina del Carmelo, nella solennità più grande del nostro santo Ordine. La Madre del Signore è davvero la mediatrice di tutte le grazie: perciò ogni persona, che l’amore misericordioso ha sollevato dalla perdizione, riceve dalle sue mani l’abito della salvezza, la grazia santificante e viene così consacrata figlio di Dio. A noi però che possiamo chiamarci figlie e sorelle sue, ella dona un particolare abito di salvezza. Come Madre del Signore ella sceglie le anime che conduce al suo amato Figlio e vuole ornarle di gloria e di gioia con l’abito di nozze. Ella piantò, sulle amene colline del Carmelo, il suo Ordine come un gradevole giardino e poi lo diffuse in tutto il mondo. Ella ci ha donato, quale segno della sua particolare grazia e della sua materna protezione, il santo scapolare e glielo ha dato già da un anno, insieme con l’abito dell’Ordine, ma allora solo in prestito, perché lo usasse nel periodo di prova, rivestita dell’armatura di Dio. Ora lei lo riceve di nuovo, poiché stringe con il Signore del cielo e della terra un patto santo. È una dimostrazione di particolare amore materno che questa santa festa sia legata con la festa della Regina del cielo; come pure fu una particolare dimostrazione di amore che la Madre di Dio le abbia dato il suo stesso nome. Tale particolare dimostrazione di amore obbliga anche a una particolare riconoscenza. Quando riceviamo il santo abito del Carmelo, non ci obblighiamo solo al particolarissimo servizio del nostro Sposo divino, ma anche a quello della sua Santa Madre. La veste della salvezza viene detta anche veste della giustizia. Ci viene consegnata con la condizione che ci si svesta dell’uomo vecchio e ci si rivesta di quello nuovo, creato secondo l’immagine di Dio in santità e giustizia. La Sacra Scrittura con giustizia intende la perfezione, lo stato dell’uomo giustificato, che nuovamente è stato fatto giusto, come lo era prima del peccato originale. Accettando l’abito della giustizia ci obblighiamo anche, secondo le nostre forze, a tendere alla perfezione e a conservare intatto il santo abito. Non potremmo servire meglio la Regina del Carmelo e dimostrarle meglio la nostra gratitudine che guardando a Lei come al modello e seguendoLa sul cammino della perfezione.

Flos Carmeli, vitis florigera
Splendor coeli, Virgo puerpera Singularis.
Mater mitis, sed viris nescia
Carmelitis da privilegia,
Stella Maris!

Filiarum Cordi suavissimo
Cor tuarum illi mitissimo
inclina!
Pacem rogamus – Audi clementer nos,
Te obsecramus – Juva potenter nos,
O Regina!

Santa Teresa Benedetta della Croce (Edith Stein)

Scritto tratto da Dobner C., Edith Stein - Nel castello dell'anima - Pagine Spirituali, Ed. OCD, Roma, 2003, p. 433 e ss..

giovedì 6 agosto 2015

VOCAZIONE E CONTEMPLAZIONE: UNA GIORNATA IN ADORAZIONE DI GESU' SUL MONTE TABOR



Gesù, ciò che ha detto, lo ha anche compiuto e in special modo con la Sua Passione, Morte e Resurrezione. Una persona è credibile quando vediamo la coerenza tra ciò che dice e ciò che fa, e questa è la testimonianza che il mondo attende da noi cristiani. C'è chi riesce in questo impegno, chi più chi meno, Cristo è Colui che vi è riuscito in pienezza essendo appunto il Verbo fatto carne, coLui che ha portato a compimento la Scrittura. Chiediamo quindi a Lui la grazia di donarci questa capacità per essere veramente suoi seguaci e discepoli. Ma per trovare la spinta a fare questo andiamo a verificare nei Vangeli ciò che Lui ha detto e poi come lo ha messo in atto.

“Il Figlio dell'uomo sarà consegnato ai capi dei sacerdoti e agli scribi”. Mt 10,33

Allora Giuda Iscaroita, uno dei dodici, si recò dai capi dei sacerdoti per consegnare loro Gesù”. Mc 14,10 – 11


“Il Figlio del'uomo non è venuto per farsi servire ma per servire”. Mt 20,28

Si alzò da tavola, depose le vesti, prese un asciugatoio e se lo cinse attorno alla vita. Poi versò dell'acqua nel catino e cominciò a lavare i piedi dei discepoli e ad asciugarli con l'asciugamano di cui si era cinto”. Gv 13, 4 – 5


“Io sono il pane della vita.......Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo”. Gv 6, 35.51

Poi prese il pane, rese grazie, lo spezzò e lo diede loro dicendo: “Questo è il mio corpo, che è dato per voi; fate questo in memoria di me”. E dopo aver cenato, fece lo stesso con il calice dicendo. “ Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue, che è versato per voi”. Lc 22, 19 – 20


“Sono disceso dal cielo non per fare la mia volonià,ma la volontà di colui che mi ha mandato”. Gv 6,38

Abbà, Padre! Tutto è possibile a te: Allontana da me questo calice! Però non ciò che voglio io ma ciò che vuoi tu”. Mc 1,36”


“A chi ti percuote sulla guancia, offri anche l'altra”. Lc. 6, 29

Una delle guardie presenti diede uno schiaffo a Gesù. Dicendo” Così rispondi al sommo sacerdote?” Gv 18, 22


“ Lo flagelleranno...” Mt 10, 34

Pilato fece prendere Gesù e lo fece flagellare”. Gv 19, 1

“ Lo uccideranno....” Mt 10,34

Allora lo consegnò loro perchè fosse crocifisso”. Gv 19,16


“Se qualcuno vuol venire dietro a me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua “. Mc 8, 34

Egli, portando la croce, si avviò versò il luogo detto cranio, in ebraico Golgota”. Gv 19, 17


“ A chi ti strappa il mantello, non rifiutare neanche la tunica “. Lc 6, 29

I soldati quando ebbero crocifisso Gesù, presero le sue vesti, ne fecero quattro parti – una per ciascun soldato – e la tunica. Ma quella tunica era senza cuciture, tessuta tutta d'un pezzo da cima a fondo. Perciò dissero tra loro: “Non stracciamola, ma tiriamo a sorte a chi tocca”. Gv 19, 23 – 24


“Chiunque avrà lasciato case, o fratelli, o madre, o figli, o campi per il mio nome, riceverà cento volte tanto e avrà in erdità la vita eterna”. Mt 19, 20

Disse alla Madre:” Donna, ecco tuo figlio!” Gv 19, 26


“Se voi infatti perdonerete agli altri le loro colpe, il Padre vostro che è nei cieli perdonerà anche a voi”. Mt 6, 14

Gesù diceva:”Padre perdona loro perchè non sanno quello che fanno”. Lc 23, 34


“Se il chicco di grano, caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto”. Gv 12, 24

Gesù gridando a gran voce, disse:”Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito”. Detto questo spirò”. Lc. 23, 46”


“Come infatti Giona rimase tre guiorni e tre notti nel ventre del pesce, così il Figlio dell'Uomo resterà tre giorni e tre notti nel cuore della terra”. Mt 12, 40

Lo depose dalla croce, lo avvolse con un lenzuolo e lo mise in un sepolcro”. Lc 23, 53


“Dopo tre giorni risorgerà...” Mt 10, 34

Voi cercate Gesù nazareno,il crocifisso, è risorto, non è qui!” Mc 16,6

Questi passi citati, sono solo alcuni, ma tanti altri nel Vangelo, nei profeti e in tutta la Sacra Scrittura ci presentano Gesù come coLui che compiendo la volontà del Padre, porta a compimento le Scritture; essendo la Parola fatta carne con la Sua vita ci parla e le sue stesse parole le vive. Noi suoi discepoli facciamo un po' più di fatica ad incarnare la Parola e ad essere coerenti nel vivere ciò che annunciamo,i nostri limiti, peccati debolezze ci ostacolano e non compiamo perfettamente e completamente ciò che dovremmo. L'importante però è camminare, nonostante le nostre incoerenze, impegnandoci a dare il meglio di noi nel vivere e attuare la Parola, così che la nostra vita conformata gradualmente alla Sua, parli di Lui e di quel che ha operato in noi. Colui che ha preso su di sé la nostra debolezza e i nostri peccati ci faccia risorgere con Lui come creature nuove capaci di rendergli testimonianza con una vita sempre più coerente con la fede che professiamo.