LA GIOIA DI ESSERE CARMELITANE...
Vivere la profondità del
proprio Battesimo, la regalità
divina della propria esistenza umana, la dimensione profetica del proprio
dialogo intimo con Dio e la vocazione mediatrice tra Dio e gli uomini nella
vita contemplativa e claustrale significa scoprire poco a poco quale sia
stato fin dalla nascita il progetto di amore che Dio ha avuto sulla propria
persona e sulla propria anima.
Essere portate dalla mano di Dio nello spazio simbolico della clausura
significa farsi sorprendere dalla “gelosia” di un Dio che non si accontenta
di una sola porzione del cuore umano.
Colei che è chiamata a vivere i voti di povertà, castità e obbedienza
secondo la Regola e le Costituzioni carmelitane diverrà consapevole che
fin dal proprio Battesimo lo Spirito Santo è stato sovrano della sua vita:
come Sposa è stata nascosta dallo Sposo agli sguardi del mondo e delle
creature perché divenisse la sola Regina a conquistare il Suo cuore
secondo il modello della Beata Vergine Maria; come Carmelitana
discendente dell’eredità profetica di Elia parlerà al Signore Dio nel
silenzio del Suo cuore liberato da tutto ciò che impedisce il dialogo con
l’Amato e potrà contemplare così i misteri di amore che il Cuore di Gesù
attende di comunicare a tutta l’umanità; come Cristiana sarà mediatrice
con Cristo Sacerdote e Sposo per tutti gli uomini e le donne, per tutti i
fratelli e le sorelle, soprattutto per coloro che non hanno la forza di alzare
le mani al Cielo per pregare, per coloro che non hanno voce per innalzare
un canto di lode al Signore Dio.
La Sposa carmelitana è nascosta con Cristo in Dio attraverso una
quotidianità che rende invisibili tutti i suoi sentimenti, i suoi pensieri e i
suoi gesti che appartengono così solo a Dio, custode della sacralità della
vita sponsale nelle sue dimensioni di cuore, mente, corpo e spirito.
Dio vuole tutto per sé e dunque la Sposa è un corpo solo ed uno spirito
solo con Gesù Sposo, che la conduce alla ricerca di ciò che è sempre più
invisibile agli occhi degli esseri umani perché sia solo lo Sposo a
conoscere gli atti di amore che la Sposa compie per Lui.
Ecco dunque il dialogo invisibile della Sposa con Gesù nel “talamo
nuziale” della propria cella ove lo Sposo le parla con le parole divine della
Sacra Scrittura; ecco dunque i sentimenti di gioia e di dolore raccolti nell’
"otre nascosto della rinuncia di sé” perché lo Sposo sia felice e lo siano
anche coloro che condividono lo stesso amore sponsale, le proprie
sorelle; ecco dunque l’invisibilità dei gesti e degli atteggiamenti che la
Sposa rende puri ed amabili perché ogni atto, ogni parola, ogni tratto
esteriore comunichi rispetto verso ogni consorella, sacra quanto l’Ostia
consacrata dal sacerdote nell’Eucarestia quotidiana.
La gioia di vivere i “voti” di povertà, castità e obbedienza come vincoli di
amore: la gioia di essere Regina del Cuore di Dio perché la Sposa ha come
unica ricchezza Gesù Sposo senza alcun bene materiale e spirituale che
non sia in comunione con le proprie sorelle; la gioia di intercedere come
un sacerdote per l’intera umanità salvata dal Cristo che unisce la Sposa
alla propria volontà per dare la vita a coloro che Lui ama; la gioia di
essere Sposa perchè il suo cuore non ha altro sentimento, pensiero ed
immagine che quella del proprio Sposo crocifisso per Lei.
In questo "Diario carmelitano" desideriamo condividere ciò che la nostra comunità prega, medita e approfondisce sul Vangelo, sulla vita religiosa e sulla vocazione alla vita contemplativa carmelitana alla luce della Parola di Dio in cammino con la Chiesa. Vi auguriamo buona lettura uniti in Gesù e Maria! Buon Anno giubilare della Misericordia! Le vostre sorelle carmelitane di Sutri. Per chi desidera contattarci siamo in rete sul sito web www.carmelitane.org
domenica 28 giugno 2015
domenica 21 giugno 2015
LA PUREZZA DI CUORE...DESIDERIO DI FELICITA'...PAPA FRANCESCO PARLA AI GIOVANI.
[...]
1. Il desiderio della felicità
La
parola beati, ossia felici, compare nove volte in
questa che è la prima grande predica di Gesù (cfr Mt 5,1-12).
È come un ritornello che ci ricorda la chiamata del Signore a
percorrere insieme a Lui una strada che, nonostante tutte le sfide, è
la via della vera felicità.
Sì,
cari giovani, la ricerca della felicità è comune a tutte le persone
di tutti i tempi e di tutte le età. Dio ha deposto nel cuore di ogni
uomo e di ogni donna un desiderio irreprimibile di felicità, di
pienezza. Non avvertite che i vostri cuori sono inquieti e in
continua ricerca di un bene che possa saziare la loro sete
d’infinito?
I
primi capitoli del Libro della Genesi ci presentano la splendida
beatitudine alla quale siamo chiamati e che consiste in comunione
perfetta con Dio, con gli altri, con la natura, con noi stessi. Il
libero accesso a Dio, alla sua intimità e visione era presente nel
progetto di Dio per l’umanità dalle sue origini e faceva sì che
la luce divina permeasse di verità e trasparenza tutte le relazioni
umane. In questo stato di purezza originale non esistevano
“maschere”, sotterfugi, motivi per nascondersi gli uni agli
altri. Tutto era limpido e chiaro.
Quando
l’uomo e la donna cedono alla tentazione e rompono la relazione di
fiduciosa comunione con Dio, il peccato entra nella storia umana
(cfr Gen 3). Le conseguenze si fanno subito notare anche
nelle loro relazioni con sé stessi, l’uno con l’altro, con la
natura. E sono drammatiche! La purezza delle origini è come
inquinata. Da quel momento in poi l’accesso diretto alla presenza
di Dio non è più possibile. Subentra la tendenza a nascondersi,
l’uomo e la donna devono coprire la propria nudità. Privi della
luce che proviene dalla visione del Signore, guardano la realtà che
li circonda in modo distorto, miope. La “bussola” interiore che
li guidava nella ricerca della felicità perde il suo punto di
riferimento e i richiami del potere, del possesso e della brama del
piacere a tutti i costi li portano nel baratro della tristezza e
dell’angoscia.
Nei
Salmi troviamo il grido che l’umanità rivolge a Dio dal profondo
dell’anima: «Chi ci farà vedere il bene, se da noi, Signore, è
fuggita la luce del tuo volto?» (Sal 4,7). Il Padre, nella sua
infinita bontà, risponde a questa supplica inviando il suo Figlio.
In Gesù, Dio assume un volto umano. Con la sua incarnazione, vita,
morte e risurrezione Egli ci redime dal peccato e ci apre orizzonti
nuovi, finora impensabili.
E
così, in Cristo, cari giovani, si trova il pieno compimento dei
vostri sogni di bontà e felicità. Lui solo può soddisfare le
vostre attese tante volte deluse dalle false promesse mondane. Come
disse san Giovanni
Paolo II: «è Lui la bellezza che tanto vi attrae; è Lui che vi
provoca con quella sete di radicalità che non vi permette di
adattarvi al compromesso; è Lui che vi spinge a deporre le maschere
che rendono falsa la vita; è Lui che vi legge nel cuore le decisioni
più vere che altri vorrebbero soffocare. E’ Gesù che suscita in
voi il desiderio di fare della vostra vita qualcosa di grande»
(Veglia
di preghiera a Tor Vergata, 19 agosto 2000: Insegnamenti XXIII/2,
[2000], 212).
2. Beati
i puri di cuore…
Adesso
cerchiamo di approfondire come questa beatitudine passi attraverso la
purezza del cuore. Prima di tutto dobbiamo capire il significato
biblico della parola cuore. Per la cultura ebraica il cuore
è il centro dei sentimenti, dei pensieri e delle intenzioni della
persona umana. Se la Bibbia ci insegna che Dio non vede le apparenze,
ma il cuore (cfr 1 Sam 16,7), possiamo dire anche che è a
partire dal nostro cuore che possiamo vedere Dio. Questo perché il
cuore riassume l’essere umano nella sua totalità e unità di corpo
e anima, nella sua capacità di amare ed essere amato.
Per
quanto riguarda invece la definizione di “puro”, la parola greca
utilizzata dall’evangelista Matteo è katharos e
significa fondamentalmente pulito, limpido, libero da sostanze
contaminanti. Nel Vangelo vediamo Gesù scardinare una certa
concezione della purezza rituale legata all’esteriorità, che
vietava ogni contatto con cose e persone (tra cui i lebbrosi e gli
stranieri), considerati impuri. Ai farisei che, come tanti giudei di
quel tempo, non mangiavano senza aver fatto le abluzioni e
osservavano numerose tradizioni legate al lavaggio di oggetti, Gesù
dice in modo categorico: «Non c’è nulla fuori dell’uomo che,
entrando in lui, possa renderlo impuro. Ma sono le cose che escono
dall’uomo a renderlo impuro. Dal di dentro infatti, cioè dal cuore
degli uomini, escono i propositi di male: impurità, furti, omicidi,
adultèri, avidità, malvagità, inganno, dissolutezza, invidia,
calunnia, superbia, stoltezza» (Mc 7,15.21-22).
In
che consiste dunque la felicità che scaturisce da un cuore puro? A
partire dall’elenco dei mali che rendono l’uomo impuro, enumerati
da Gesù, vediamo che la questione tocca soprattutto il campo delle
nostre relazioni. Ognuno di noi deve imparare a discernere ciò
che può “inquinare” il suo cuore, formarsi una coscienza retta e
sensibile, capace di «discernere la volontà di Dio, ciò che è
buono, a lui gradito e perfetto» (Rm 12,2). Se è necessaria
una sana attenzione per la custodia del creato, per la purezza
dell’aria, dell’acqua e del cibo, tanto più dobbiamo custodire
la purezza di ciò che abbiamo di più prezioso: i nostri cuori
e le nostre relazioni. Questa “ecologia umana” ci aiuterà a
respirare l’aria pura che proviene dalle cose belle, dall’amore
vero, dalla santità.
Una
volta vi ho posto la domanda: Dov’è il vostro tesoro? Su quale
tesoro riposa il vostro cuore? (cfr Intervista
con alcuni giovani del Belgio, 31 marzo 2014). Sì, i nostri
cuori possono attaccarsi a veri o falsi tesori, possono trovare un
riposo autentico oppure addormentarsi, diventando pigri e
intorpiditi. Il bene più prezioso che possiamo avere nella vita è
la nostra relazione con Dio. Ne siete convinti? Siete consapevoli del
valore inestimabile che avete agli occhi di Dio? Sapete di essere
amati e accolti da Lui in modo incondizionato, così come siete?
Quando questa percezione viene meno, l’essere umano diventa un
enigma incomprensibile, perché proprio il sapere di essere amati da
Dio incondizionatamente dà senso alla nostra vita. Ricordate il
colloquio di Gesù con il giovane ricco (cfr Mc 10,17-22)?
L’evangelista Marco nota che il Signore fissò lo sguardo su di lui
e lo amò (cfr v. 21), invitandolo poi a seguirlo per trovare il vero
tesoro. Vi auguro, cari giovani, che questo sguardo di Cristo, pieno
di amore, vi accompagni per tutta la vostra vita.
Il
periodo della giovinezza è quello in cui sboccia la grande ricchezza
affettiva presente nei vostri cuori, il desiderio profondo di un
amore vero, bello e grande. Quanta forza c’è in questa capacità
di amare ed essere amati! Non permettete che questo valore prezioso
sia falsato, distrutto o deturpato. Questo succede quando nelle
nostre relazioni subentra la strumentalizzazione del prossimo per i
propri fini egoistici, talvolta come puro oggetto di piacere. Il
cuore rimane ferito e triste in seguito a queste esperienze negative.
Vi prego: non abbiate paura di un amore vero, quello che ci insegna
Gesù e che san Paolo delinea così: «La carità è magnanima,
benevola è la carità; non è invidiosa, non si vanta, non si gonfia
d’orgoglio, non manca di rispetto, non cerca il proprio interesse,
non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode
dell'ingiustizia ma si rallegra della verità. Tutto scusa, tutto
crede, tutto spera, tutto sopporta. La carità non avrà mai fine»
(1 Cor 13, 4-8).
Nell’invitarvi
a riscoprire la bellezza della vocazione umana all’amore, vi esorto
anche a ribellarvi contro la diffusa tendenza a banalizzare l’amore,
soprattutto quando si cerca di ridurlo solamente all’aspetto
sessuale, svincolandolo così dalle sue essenziali caratteristiche di
bellezza, comunione, fedeltà e responsabilità. Cari giovani, «nella
cultura del provvisorio, del relativo, molti predicano che
l’importante è “godere” il momento, che non vale la pena di
impegnarsi per tutta la vita, di fare scelte definitive, “per
sempre”, perché non si sa cosa riserva il domani. Io, invece, vi
chiedo di essere rivoluzionari, vi chiedo di andare controcorrente;
sì, in questo vi chiedo di ribellarvi a questa cultura del
provvisorio, che, in fondo, crede che voi non siate in grado di
assumervi responsabilità, crede che voi non siate capaci di amare
veramente. Io ho fiducia in voi giovani e prego per voi. Abbiate il
coraggio di andare controcorrente. E abbiate il coraggio anche di
essere felici» (Incontro
con i volontari alla GMG di Rio, 28 luglio 2013).
Voi
giovani siete dei bravi esploratori! Se vi lanciate alla scoperta del
ricco insegnamento della Chiesa in questo campo, scoprirete che il
cristianesimo non consiste in una serie di divieti che soffocano i
nostri desideri di felicità, ma in un progetto di vita capace di
affascinare i nostri cuori!
3.
... perché vedranno Dio
Nel
cuore di ogni uomo e di ogni donna risuona continuamente l’invito
del Signore: «Cercate il mio volto!» (Sal 27,8). Allo stesso
tempo ci dobbiamo sempre confrontare con la nostra povera condizione
di peccatori. E’ quanto leggiamo per esempio nel Libro dei Salmi:
«Chi potrà salire il monte del Signore? Chi potrà stare nel suo
luogo santo? Chi ha mani innocenti e cuore puro» (Sal 24,3-4).
Ma non dobbiamo avere paura né scoraggiarci: nella Bibbia e nella
storia di ognuno di noi vediamo che è sempre Dio che fa il primo
passo. E’ Lui che ci purifica affinché possiamo essere ammessi
alla sua presenza.
Il
profeta Isaia, quando ricevette la chiamata del Signore a parlare nel
suo nome, si spaventò e disse: «Ohimè! Io sono perduto, perché un
uomo dalle labbra impure io sono» (Is 6,5). Eppure il Signore
lo purificò, inviandogli un angelo che toccò la sua bocca e gli
disse: «E’ scomparsa la tua colpa e il tuo peccato è espiato»
(v. 7). Nel Nuovo Testamento, quando sul lago di Gennèsaret
Gesù chiamò i suoi primi discepoli e compì il prodigio della pesca
miracolosa, Simon Pietro cadde ai suoi piedi dicendo: «Signore,
allontanati da me, perché sono un peccatore» (Lc 5,8). La
risposta non si fece aspettare: «Non temere; d’ora in poi sarai
pescatore di uomini» (v. 10). E quando uno dei discepoli di Gesù
gli chiese: «Signore, mostraci il Padre e ci basta», il Maestro
rispose: «Chi ha visto me, ha visto il Padre» (Gv 14,8-9).
L’invito
del Signore a incontrarlo è rivolto perciò ad ognuno di voi, in
qualsiasi luogo e situazione si trovi. Basta «prendere la decisione
di lasciarsi incontrare da Lui, di cercarlo ogni giorno senza sosta.
Non c’è motivo per cui qualcuno possa pensare che questo invito
non è per lui» (Esort. ap. Evangelii
gaudium, 3). Siamo tutti peccatori, bisognosi di essere
purificati dal Signore. Ma basta fare un piccolo passo verso Gesù
per scoprire che Lui ci aspetta sempre con le braccia aperte, in
particolare nel Sacramento della Riconciliazione, occasione
privilegiata di incontro con la misericordia divina che purifica e
ricrea i nostri cuori.
Sì,
cari giovani, il Signore vuole incontrarci, lasciarsi “vedere” da
noi. “E come?” – mi potrete domandare. Anche santa Teresa
d’Avila, nata in Spagna proprio 500 anni fa, già da piccola diceva
ai suoi genitori: «Voglio vedere Dio». Poi ha scoperto la via
dellapreghiera come «un intimo rapporto di amicizia con Colui
dal quale ci sentiamo amati» (Libro della vita, 8, 5). Per questo vi
domando: voi pregate? Sapete che potete parlare con Gesù, con il
Padre, con lo Spirito Santo, come si parla con un amico? E non un
amico qualsiasi, ma il vostro migliore e più fidato amico! Provate a
farlo, con semplicità. Scoprirete quello che un contadino di Ars
diceva al santo Curato del suo paese: quando sono in preghiera
davanti al Tabernacolo, «io lo guardo e lui mi guarda» (Catechismo
della Chiesa Cattolica, 2715).
Ancora
una volta vi invito a incontrare il Signore leggendo
frequentemente la Sacra Scrittura. Se non avete ancora l’abitudine,
iniziate dai Vangeli. Leggete ogni giorno un brano. Lasciate che la
Parola di Dio parli ai vostri cuori, illumini i vostri passi
(cfr Sal 119,105). Scoprirete che si può “vedere” Dio
anche nel volto dei fratelli, specialmente quelli più
dimenticati: i poveri, gli affamati, gli assetati, gli stranieri, gli
ammalati, i carcerati (cfr Mt 25,31-46). Ne avete mai fatto
esperienza? Cari giovani, per entrare nella logica del Regno di Dio
bisogna riconoscersi poveri con i poveri. Un cuore puro è
necessariamente anche un cuore spogliato, che sa abbassarsi e
condividere la propria vita con i più bisognosi.
L’incontro
con Dio nella preghiera, attraverso la lettura della Bibbia e nella
vita fraterna vi aiuterà a conoscere meglio il Signore e voi stessi.
Come accadde ai discepoli di Emmaus (cfr Lc 24,13-35), la
voce di Gesù farà ardere i vostri cuori e si apriranno i vostri
occhi per riconoscere la sua presenza nella vostra storia, scoprendo
così il progetto d’amore che Lui ha per la vostra vita.
Alcuni
di voi sentono o sentiranno la chiamata del Signore al matrimonio, a
formare una famiglia. Molti oggi pensano che questa vocazione sia
“fuori moda”, ma non è vero! Proprio per questo motivo, l’intera
Comunità ecclesiale sta vivendo un periodo speciale di riflessione
sulla vocazione e la missione della famiglia nella Chiesa e nel mondo
contemporaneo. Inoltre, vi invito a considerare la chiamata alla vita
consacrata o al sacerdozio. Quanto è bello vedere giovani che
abbracciano la vocazione di donarsi pienamente a Cristo e al servizio
della sua Chiesa! Interrogatevi con animo puro e non abbiate paura di
quello che Dio vi chiede! A partire dal vostro “sì” alla
chiamata del Signore diventerete nuovi semi di speranza nella Chiesa
e nella società. Non dimenticate: la volontà di Dio è la nostra
felicità!
[...]
[...]
(DAL MESSAGGIO
DEL SANTO PADRE FRANCESCO PER LA XXX GIORNATA MONDIALE DELLA
GIOVENTÙ 2015)
domenica 14 giugno 2015
LA MADONNA ACCOMPAGNA NELLA SCELTA VOCAZIONALE: consigli di Papa Francesco.
[...]
Vi ringrazio per questa visita, questa visita alla Madonna che è tanto importante nella nostra vita. E Lei ci accompagna anche nella scelta definitiva, la scelta vocazionale, perché Lei ha accompagnato suo Figlio nel suo cammino vocazionale che è stato tanto duro, tanto doloroso. Lei ci accompagna sempre.
Quando un cristiano mi dice, non che non ama la Madonna, ma che non gli viene di cercare la Madonna o di pregare la Madonna, io mi sento triste. Ricordo una volta, quasi 40 anni fa, ero in Belgio, in un convegno, e c’era una coppia di catechisti, professori universitari ambedue, con figli, una bella famiglia, e parlavano di Gesù Cristo tanto bene. E ad un certo punto ho detto: “E la devozione alla Madonna?” “Ma noi abbiamo superato questa tappa. Noi conosciamo tanto Gesù Cristo che non abbiamo bisogno della Madonna”. E quello che mi è venuto in mente e nel cuore è stato: “Mah… poveri orfani!”. E’ così, no? Perché un cristiano senza la Madonna è orfano. Anche un cristiano senza Chiesa è un orfano. Un cristiano ha bisogno di queste due donne, due donne madri, due donne vergini: la Chiesa e la Madonna. E per fare il “test” di una vocazione cristiana giusta, bisogna domandarsi: “Come va il mio rapporto con queste due Madri che ho?”, con la madre Chiesa e con la madre Maria. Questo non è un pensiero di “pietà”, no, è teologia pura. Questa è teologia. Come va il mio rapporto con la Chiesa, con la mia madre Chiesa, con la santa madre Chiesa gerarchica? E come va il mio rapporto con la Madonna, che è la mia Mamma, mia Madre?
Questo fa bene: non lasciarla mai e non andare da soli. Vi auguro un buon cammino di discernimento. Per ognuno di noi il Signore ha la sua vocazione, quel posto dove Lui vuol che noi viviamo la nostra vita. Ma bisogna cercarlo, trovarlo; e poi continuare, andare avanti.
Un’altra cosa che vorrei aggiungere – oltre a quella della Chiesa e della Madonna – è il senso del definitivo. Questo per noi è importante, perché stiamo vivendo una cultura del provvisorio: questo sì, ma per un tempo, e per un altro tempo… Ti sposi? Sì, sì, ma finché l’amore dura, poi ognuno a casa sua un’altra volta…
Un ragazzo – mi raccontava un vescovo – un giovane, un professionista giovane, gli ha detto: “Io vorrei diventare prete, ma soltanto per dieci anni”. E’ così, è il provvisorio. Abbiamo paura del definitivo. E per scegliere una vocazione, una vocazione qualsiasi, anche quelle vocazioni “di stato”, il matrimonio, la vita consacrata, il sacerdozio, si deve scegliere con una prospettiva del definitivo. E a questo si oppone la cultura del provvisorio. E’ una parte della cultura che a noi tocca vivere in questo tempo, ma dobbiamo viverla, e vincerla.
Benissimo. Anche su questo aspetto del definitivo, credo che uno che ha più sicura la sua strada definitiva è il Papa! Perché il Papa… dove finirà il Papa? Lì, in quella tomba, no?
Vi ringrazio tanto per questa visita, e vi invito a pregare la Madonna o, non so, a cantare… La “Salve Regina”… La sanno cantare? Cantiamo la “Salve Regina” alla Madonna tutti insieme? Andiamo!
Adesso a voi, alle vostre famiglie, a tutti do la Benedizione e vi chiedo, per favore, di pregare per me.
Grazie a voi! Grazie tante! Buon cammino!
(Dal Saluto di Papa Francesco ai giovani della Diocesi di Roma, 28 giugno 2014)
LA VOCAZIONE E' UN "ESODO" DA SE' VERSO DIO E I POVERI: una riflessione di Papa Francesco.
[...] Vorrei riflettere proprio
su quel particolare “esodo” che è la vocazione, o, meglio, la nostra
risposta alla vocazione che Dio ci dona.
Quando sentiamo la parola “esodo”, il nostro pensiero va subito agli inizi
della meravigliosa storia d’amore tra Dio e il popolo dei suoi figli, una
storia che passa attraverso i giorni drammatici della schiavitù in Egitto, la
chiamata di Mosè, la liberazione e il cammino verso la terra promessa. Il
libro dell’Esodo – il secondo libro della Bibbia –, che narra questa storia,
rappresenta una parabola di tutta la storia della salvezza, e anche della
dinamica fondamentale della fede cristiana. Infatti, passare dalla schiavitù
dell’uomo vecchio alla vita nuova in Cristo è l’opera redentrice che
avviene in noi per mezzo della fede (Ef 4,22-24). Questo passaggio è un
vero e proprio “esodo”, è il cammino dell’anima cristiana e della Chiesa
intera, l’orientamento decisivo dell’esistenza rivolta al Padre.
Alla radice di ogni vocazione cristiana c’è questo movimento
fondamentale dell’esperienza di fede: credere vuol dire lasciare sé stessi,
uscire dalla comodità e rigidità del proprio io per centrare la nostra vita in
Gesù Cristo; abbandonare come Abramo la propria terra mettendosi in
cammino con fiducia, sapendo che Dio indicherà la strada verso la nuova
terra. Questa “uscita” non è da intendersi come un disprezzo della
propria vita, del proprio sentire, della propria umanità; al contrario, chi si
mette in cammino alla sequela del Cristo trova la vita in abbondanza,
mettendo tutto sé stesso a disposizione di Dio e del suo Regno. Dice
Gesù: «Chiunque avrà lasciato case, o fratelli, o sorelle, o padre, o madre,
o figli, o campi per il mio nome, riceverà cento volte tanto e avrà in
eredità la vita eterna» (Mt 19,29). Tutto ciò ha la sua radice profonda
nell’amore. Infatti, la vocazione cristiana è anzitutto una chiamata
d’amore che attrae e rimanda oltre sé stessi, decentra la persona, innesca
«un esodo permanente dall’io chiuso in sé stesso verso la sua liberazione
nel dono di sé, e proprio così verso il ritrovamento di sé, anzi verso la
scoperta di Dio» (Benedetto XVI, Lett. Enc. Deus Caritas est, 6).
L’esperienza dell’esodo è paradigma della vita cristiana, in particolare di
chi abbraccia una vocazione di speciale dedizione al servizio del Vangelo.
Consiste in un atteggiamento sempre rinnovato di conversione e
trasformazione, in un restare sempre in cammino, in un passare dalla
morte alla vita così come celebriamo in tutta la liturgia: è il dinamismo
pasquale. In fondo, dalla chiamata di Abramo a quella di Mosè, dal
cammino peregrinante di Israele nel deserto alla conversione predicata
dai profeti, fino al viaggio missionario di Gesù che culmina nella sua morte
e risurrezione, la vocazione è sempre quell’azione di Dio che ci fa uscire
dalla nostra situazione iniziale, ci libera da ogni forma di schiavitù, ci
strappa dall’abitudine e dall’indifferenza e ci proietta verso la gioia della
comunione con Dio e con i fratelli. Rispondere alla chiamata di Dio,
dunque, è lasciare che Egli ci faccia uscire dalla nostra falsa stabilità per
metterci in cammino verso Gesù Cristo, termine primo e ultimo della
nostra vita e della nostra felicità.
Questa dinamica dell’esodo non riguarda solo il singolo chiamato, ma
l’azione missionaria ed evangelizzatrice di tutta la Chiesa. La Chiesa è
davvero fedele al suo Maestro nella misura in cui è una Chiesa “in uscita”,
non preoccupata di sé stessa, delle proprie strutture e delle proprie
conquiste, quanto piuttosto capace di andare, di muoversi, di incontrare i
figli di Dio nella loro situazione reale e di com-patire per le loro ferite. Dio
esce da sé stesso in una dinamica trinitaria di amore, ascolta la miseria
del suo popolo e interviene per liberarlo (Es 3,7). A questo modo di essere
e di agire è chiamata anche la Chiesa: la Chiesa che evangelizza esce
incontro all’uomo, annuncia la parola liberante del Vangelo, cura con la
grazia di Dio le ferite delle anime e dei corpi, solleva i poveri e i bisognosi.
Cari fratelli e sorelle, questo esodo liberante verso Cristo e verso i fratelli
rappresenta anche la via per la piena comprensione dell’uomo e per la
crescita umana e sociale nella storia. Ascoltare e accogliere la chiamata
del Signore non è una questione privata e intimista che possa confondersi
con l’emozione del momento; è un impegno concreto, reale e totale che
abbraccia la nostra esistenza e la pone al servizio della costruzione del
Regno di Dio sulla terra. Perciò la vocazione cristiana, radicata nella
contemplazione del cuore del Padre, spinge al tempo stesso all’impegno
solidale a favore della liberazione dei fratelli, soprattutto dei più poveri. Il
discepolo di Gesù ha il cuore aperto al suo orizzonte sconfinato, e la sua
intimità con il Signore non è mai una fuga dalla vita e dal mondo ma, al
contrario, «si configura essenzialmente come comunione missionaria»
(Esort. ap. Evangelii gaudium, 23).
Questa dinamica esodale, verso Dio e verso l’uomo, riempie la vita di
gioia e di significato. Vorrei dirlo soprattutto ai più giovani che, anche per
la loro età e per la visione del futuro che si spalanca davanti ai loro occhi,
sanno essere disponibili e generosi. A volte le incognite e le
preoccupazioni per il futuro e l’incertezza che intacca la quotidianità
rischiano di paralizzare questi loro slanci, di frenare i loro sogni, fino al
punto di pensare che non valga la pena impegnarsi e che il Dio della fede
cristiana limiti la loro libertà. Invece, cari giovani, non ci sia in voi la paura
di uscire da voi stessi e di mettervi in cammino! Il Vangelo è la Parola che
libera, trasforma e rende più bella la nostra vita. Quanto è bello lasciarsi
sorprendere dalla chiamata di Dio, accogliere la sua Parola, mettere i
passi della vostra esistenza sulle orme di Gesù, nell’adorazione del
mistero divino e nella dedizione generosa agli altri! La vostra vita
diventerà ogni giorno più ricca e più gioiosa!
La Vergine Maria, modello di ogni vocazione, non ha temuto di
pronunciare il proprio “fiat” alla chiamata del Signore. Lei ci accompagna
e ci guida. Con il coraggio generoso della fede, Maria ha cantato la gioia di
uscire da sé stessa e affidare a Dio i suoi progetti di vita. A lei ci rivolgiamo
per essere pienamente disponibili al disegno che Dio ha su ciascuno di
noi; perché cresca in noi il desiderio di uscire e di andare, con
sollecitudine, verso gli altri (cfr Lc 1,39). La Vergine Madre ci protegga e
interceda per tutti noi.
(Dal Messaggio per la 52.ma Giornata mondiale di preghiera per le vocazioni 29 marzo 2015)
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