LA VOCAZIONE ALLA VITA CONTEMPLATIVA: ELIA PROFETA MODELLO DI CONSACRAZIONE
Elia
salì sulla cima del Carmelo; gettatosi a terra, pose la sua faccia
tra le ginocchia…
«Ecco,
una nuvola, piccola come una mano d’uomo, sale dal mare»
(1Re,
18,44)
Elia
profeta può essere considerato da noi carmelitane modello di
consacrazione a Dio, perchè egli desidera testimoniare che l'unico
amore della sua Vita è il Signore.
L'itinerario
esistenziale di Elia appare come il percorso che ogni consacrato/a
può seguire per la donazione di sé al Signore Dio e ai fratelli.
Tale
cammino eliano, già “figura” anticotestamentaria della sequela
Christi che caratterizzerà i discepoli di Gesù, si avvia dopo
l'incontro con una “Parola di Attrazione” all'Amore esclusivo di
Dio, una Parola profetica che dice tutto di sé alla creatura,
donandole vita e invitandola a diventare ella stessa Parola da donare
agli altri.
Infatti,
Elia vive le esperienze dell'annuncio di Dio e della denuncia contro
l'ingiustizia e l'immoralità diffusa nel popolo fino a scontrarsi
vittoriosamente con i profeti di Baal, costruttori ed adoratori di
idoli sul monte Carmelo e falsi profeti corrotti del suo tempo.
L'amore
che spinge Elia a combattere la regina “idolatrica” Gezabele è
quell'Amore audace che vuole servire con tutta la passione umana di
forza e volontà, perchè esclusivo, unico, non intaccato da altri
“amori minori ed artificiali”, da amori apparenti, “di
plastica”, ma è un rapporto amoroso ravvivato da un fuoco
interiore dello Spirito che lo rende solidale con il Signore e con
tutti coloro che lottano quotidianamente per vivere dignitosamente e
onestamente al cospetto del Dio Vivente.
Tuttavia,
in queste esperienze di esaltanti e trionfanti battaglie Elia non
conosce veramente il volto di Dio; lo conoscerà ed amerà veramente
solo dopo averlo incontrato nel silenzio spirituale del suo cuore sul
monte Horeb.
Infatti,
l'amore che nasce dal cuore di Elia profeta come quello che ogni
consacrato sente di aver ricevuto nel Battesimo fin dalla
coscientizzazione della propria vocazione a seguire il Figlio di Dio
è necessario passi attraverso stadi di verifica e prova delle
motivazioni che spingono ad un amore soprannaturale così
inconoscibile, ma irresistibile.
Sembra
necessario imparare o reimparare ad amare, perchè amare Dio non è
come amare una creatura. La sproporzione tra i due “amanti” rende
necessario un percorso di crescita dell'uomo che si innalza a Dio
solo dopo che Dio si è “abbassato”, cioè sacrificato per lui al
fine riempirlo del Suo Amore vitale, rendendolo consapevole di essere
stato salvato.
L'uomo
senza Dio non è capace di amare, nè se stesso, nè gli altri; può
scambiare l'amore con l'esperienza di piaceri sensibili e suggestivi
sempre temporanei e passeggeri, tanto tangibili e capaci di motivare
pensieri, parole e azioni per soddisfare la ricerca del benessere
proprio, ma non è in grado di aprirsi alla Rivelazione di un amore
che è più grande delle proprie percezioni e dei propri sentimenti
naturali.
Il
profeta Elia ha vissuto l'intensità dell'isolamento penitente presso
il torrrente Chérit in uno sforzo di ascesi che lo ha convinto di
essere “forte” dopo le minacce espresse contro il re Acab, ha
alimentato il proprio fervore per le vittorie contro i profeti di
Baal, ha usato tutta la “propria forza” nel sostenere i più
deboli come la Vedova di Sarepta, ma di fronte alla minaccia per la
propria vita manifestata dalla regina Gezabele crolla in
un'esperienza nuova e misteriosa, quella della propria debolezza.
Elia
profeta ha paura, non comprende perchè prova sentimenti di terrore e
paura di fronte ad una minaccia così ovvia, tanto più dopo una
vittoria eclatante come quella conseguita sul Monte Carmelo, che a
suo avviso avrebbe dovuto guidare alla conversione tutto il popolo.
E
invece Elia è deluso e spaventato, il suo modo di servire il Dio
Unico, i suoi atteggiamenti, le sue scelte, le sue parole non sono
state pienamente ascoltate dal popolo e così egli entra
nell'esperienza del fallimento personale e dell'incomprensibilità di
quanto prova e vive.
Elia
sceglie di “fuggire” verso le proprie origini, verso le origini
del popolo che Dio ha eletto e prediletto, verso il Monte Horeb dove
Dio ha parlato a Mosè nel roveto ardente.
Egli
intraprende un cammino in una direzione di fuga che il Signore non
gli ha indicato o comandato, i suoi passi si fanno via via pesanti,
scoraggiato e quasi disperato chiede di morire perchè non si sente
migliore dei suoi padri, di coloro che gli hanno dato la vita e
insegnato a viverla.
Il
Signore Dio accetta di affiancare Elia nel suo cammino di fuga da se
stesso, dalla verità di sé, per reincontrarlo quando si riaprirà
all'ascolto della Parola che solo il silenzio può far risuonare nel
suo cuore e nella suo mente come lieve soffio di Spirito.
Dio
lo accompagna passo passo esortandolo a mangiare, ad alimentarsi per
vivere, lo sprona a non lasciarsi morire e schiacciare dallo
scoraggiamento della delusione fino al Monte Horeb. Lì il profeta
“fallito” non si apre subito alla gioia per l'arrivo alla mèta
desiderata, ma vive un ulteriore ripiegamento su di sé, quello di
rifugiarsi nella caverna e si chiude a Dio, a sé e agli altri.
Ecco
l'intervento diretto di Dio con la Sua Parola: “Che fai qui
Elia?”...sì Dio si rivolge direttamente a Lui per chiedergli i
motivi per cui fugge, che cosa sta provando nel suo cuore, che cosa
lo agita e lo sconvolge tanto da allontanarsi dal popolo e in
sostanza da Dio stesso.
Elia
si apre, si confida e risponde: «Sono pieno di zelo per il
Signore degli eserciti, poiché gli Israeliti hanno abbandonato la
tua alleanza, hanno demolito i tuoi altari, hanno ucciso di spada i
tuoi profeti. Sono rimasto solo ed essi tentano di togliermi la
vita».
Nella
confidenza di Elia a Dio si trovano tutti i sentimenti che possono
animare il cuore del consacrato che è chiamato a reimparare a
“sentire”, a dare un nome ai propri sentimenti per riorientrali
verso Dio.
Elia
ha sentimenti di amore zelante verso Dio, ma è scontento e deluso
che gli israeliti non lo abbiano ascoltato, quindi appare più deluso
del suo insuccesso che dell'effettivo stato spirituale dei fratelli,
verso i quali rimane giustamente indignato per i gravi delitti di
profanazione e violenza, ma non vede oltre se stesso e la propria
persona, ritenendosi l'unico profeta esistente e per lo più
impaurito per la propria vita, così ardentemente donata fino a poco
tempo prima in difesa della purezza della fede.
Nella
tempesta di questi sentimenti contraddittori e confusi Elia avvia un
processo di liberazione da quell'autocentrismo che gli ha impedito di
vedere e apprezzare la fedeltà degli altri piccoli gruppi profetici
che lottavano per il Dio Unico.
L'intensità
dei sentimenti di Elia si va gradualmente trasformando e maturando
verso una nuova visione di Dio: nel silenzio delle proprie assordanti
convinzioni ed ostinazioni scorge un nuovo modo di leggere la
presenza di Dio nella sua vita e nel modo di servirlo.
Da
quel momento Elia potrà riapprezzare il valore dei piccoli segni,
dei piccoli gesti profetici ed al contempo “miracolosi” agli
occhi di Dio.
Ecco
la “crisi sanante” di Elia quale modello per il consacrato che
accetta di passare attraverso la “notte oscura” del proprio
fallimento umano per essere ricreato “sposo e amato” da Dio per
servirlo con “piccoli mezzi”, con strumenti umanamente
depotenziati, ma divinamente sostenuti da Colui che accompagna il
proprio amico e servitore.
Ricordiamo
il valore salvifico dei “pezzi di pane e carne” portati ad Elia
dai corvi per vivere il nascondimento della contemplazione, del
“pugno di farina e del poco olio” che ha salvato la vita della
Vedova di Sarepta e del figlio ormai destinati a morire sotto il peso
della carestia, il “poco pane e l'acqua” ricevuti nel deserto in
cammino verso l'Horeb schiacciato dalla disperazione, la “piccola
nuvoletta” che sale dal mare dopo le sette scalate del ragazzo
sulla vetta per conto del suo padre spirituale, come una mano di uomo
che si tende all'umanità perchè torni a credere e sperare in Dio:
questo è quanto noi carmelitane possiamo evidenziare e promuovere
quale stile di vita consacrata con l'aiuto e protezione della Beata
Vergine Maria raffigurata dalla tradizione carmelitana proprio nella
“nube che sale dal mare”.
La
lettura dei segni nascosti della presenza di Dio nelle nostre
giornate può aiutarci come consacrati a vivere gioiosamente la
fraternità, come mosaico armonioso delle differenze umane e
spirituali donate da Dio quali piccoli tasselli che di per sé soli
sarebbero scartati, ma che nell'insieme della composizione mostrano
la forza della propria “forma e colore” scolpiti e dipinti dal
Creatore.
Appare
necessario saper riconoscere il bene dai piccoli gesti e segni verso
i propri fratelli, perchè essi rappresentano la prima “opera di
mediazione” che apre la porta dell'accoglienza, come una chiave che
è sì tanto piccola rispetto alla porta che può aprirsi, ma che è
la sola ad avere la capacità di far “scorrere gli ingranaggi”
della solidarietà e della generosità.
Per
noi carmelitane luogo privilegiato di apprendimento di tale
piccolezza è quello della preghiera, luogo ove sperimenti
costantemente il mistero della piccolezza creaturale di fronte
all'immensità di un Dio che dialoga con la creatura attraverso la
Parola, i Sacramenti, la fraternità, la comunità, per essere sempre
aperte e tese verso un'orizzonte ampio, ma non pienamente
tracciabile, disposte ad allargare il cuore all'Inconoscibile, ma
certe della presenza di Gesù fra noi e in noi.
(Commento alla Lettera “Scrutate”, indirizzata dalla Congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica ai consacrati e alle consacrate, Libreria Editrice Vaticana, 2014, pp. 37-47)